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Ettore Bernabei è un personaggio che lascia segno e segnale ...

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Attacchi faziosi, critiche graffianti, interventi a gamba tesa ne subisce, eccome. Perché il personaggio non è tipo che fa melina, che tira a galleggiare e basta. Di piedi ne schiaccia pure lui, e non per il gusto di rendere pan per focaccia, ma per raggiungere traguardi che giudica vitali, per realizzare ideali in cui crede, e per servire la grande platea televisiva mediante un'informazione sventagliata che la faccia crescere e un intrattenimento che la faccia maturare. Ha soltanto 39 anni quando Bernabei viene nominato Direttore Generale della Rai. Vi trova dirigenti inamovibili da 20 anni, all'incirca la parentesi fascista durante la quale ci si limita a trasmettere veline ministeriali che umiliano la professionalità del giornalista e falsano sfrontatamente la verità. Bernabei, che non ama la massoneria e ne è ricambiato, viene dipinto come un democristiano catapultato lì per censurare, imbavagliare, agire come avevano agito loro: gli inamovibili. Egli non replica alle accuse, non rintuzza le provocazioni, si rifugia in un silenzio eloquente, fa parlare le decisioni che prende e i prodotti che realizza, nonché i collaboratori che imbarca con spirito di cordata. I collaboratori si chiamano Umberto Eco, Furio Colombo, Fabiano Fabiani, Angelo Guglielmi, Emanuele Milano, Piero Angela, Mario Motta, Emilio Gennarini e Angelo Romanò: persone intelligenti e colte, espressione di tutti i filoni culturali e politici del Paese. È l'epoca dei grandi sceneggiati, quello sulla vita di Leonardo da Vinci, su Pinocchio, l'Odissea e tantissimi altri in cui recitano Tino Carraro e Arnoldo Foà con le regie di Roberto Rossellini. È anche l'epoca degli show di qualità con Mina e Walter Chiari, le "gemelle Kessler" eleganti, raffinate e femminili. Gli abbonamenti alla Rai passano da cinque a dodici milioni di famiglie. I suoi successi poggiano sopra alcune idee che alla prova dei fatti risultano vincenti. Il modo ottimale di gestire il "piccolo schermo" forse non è stato ancora inventato. Anche perché una tv pubblica che deve servire il pubblico e non servirsene, è impresa qualitativamente diversa da una tv commerciale che punta al profitto. Il giovane Direttore Generale è consapevole che la tivù è un mezzo potente e quasi prepotente di comunicazione, perciò insiste a ripetere che il messaggio televisivo va mirato sulle esigenze di informare e formare la gran massa di spettatori. Da qui la necessità di trasmettere non solo ciò che può interessare alle minoranze intellettuali, o alle capricciosità consumistiche del tempo nostro, ma anche e soprattutto alla grande platea televisiva mediante un linguaggio che essa possa comprendere e quindi metabolizzare. Come dire una Rai pedagogica che contribuisca alla alfabetizzazione e all'unità del Paese, un collante affinché il giovane Stato italiano divenga anche Nazione di popolo. Non è un caso che la storia della Rai si è soliti dividerla in due tempi: quello prima e quello dopo Bernabei. Durante quest'ultimo l'Azienda si vede costretta, per difendere l'equilibrio del "conto economico" e i "picchi di audience" dall'insidiosa concorrenza delle televisioni commerciali, a percorrere sentieri produttivi non sempre "bernabeiani". La tv di oggi, tutta la tivù di oggi non piace all'ex Direttore Generale della Rai. E lo spiattella senza peli sulla lingua. Egli non ama i reality show, argomenta che sono un furbastro espediente perché in essi non c'è nulla d'improvvisato: scrittorelli di terza e quarta categoria rendono le storie di esibizionisti un po' più pepate. Non si può subordinare la sanità del cuore degli spettatori alla religione del business. Egli cita spesso Karl Popper, acuto filosofo austriaco, il quale soleva ripetere che per fare tivù ci vorrebbe una licenza, per dire (traduce Bernabei) che non ci si può improvvisare come certi giovanotti che credono, solo perché hanno un certo scilinguagnolo, di saper fare tivù. Carlo Freccero con piglio sentenzioso sentenzia che la fiction italiana è vecchia rispetto alla serialità americana. Bernabei non ci sta, non la pensa così, pensa il contrario e, anche qui, argomenta: il telefilm americano cattura attenzione con espedienti deteriori: come cucinare con tante spezie che piacciono assai ma che, a lungo andare, rovinano lo stomaco. Nel 1991 nasce la Lux Vide fondata da Bernabei. Non occorre atteggiarsi a indovini per sapere cosa avrebbe prodotto e trasmesso la nuova Società cui partecipano imprenditori che la pensano come lui sul modo di fare televisione. Gl'inguaribili critici la bollano d'integralismo cattolico, di goffo e anacronistico clericalismo, di politica bacchettona e beghina. Che Bernabei sia un cattolico non ci piove, ma di un cattolicesimo imperniato su due profonde convinzioni: l'esistenza di Dio che ha creato l'uomo e il mondo; poi la libertà dell'uomo di scegliere tra il bene e il male. Sono le due stelle polari che lo guidano nell'attività di comunicatore, alla quale danno una mano preziosa per passione e bravura i figli Matilde e Luca. La vocazione al dialogo fertile in Bernabei è il portato di quei due punti di riferimento in cui crede, i quali finiscono per regalare quasi sempre qualcosa di utile a tutti i dialoganti. Il "Progetto Bibbia" ne è la conferma. Nasce non da oggi, è un suo impegno con se stesso, la sua coscienza, la sua professionalità. Ma non è agevole portarlo in tv. La Bibbia è un patrimonio che in modo più o meno diretto finisce per coinvolgere non soltanto le numerose chiese del ceppo cristiano, ma anche ebrei, anche musulmani. Non solo. Il linguaggio dei libri sacri è materia troppo delicata per divulgarla al grande pubblico senza correre il rischio di acuire suscettibilità, incorrere in qualche forzatura interpretativa, non accontentare tutti i soggetti interessati. Perciò Bernabei fa riunioni una dietro l'altra fra cattolici, luterani, calvinisti, battisti, ebrei e musulmani. Si aggiustano i testi, si smussano le spigolosità, si accolgono le diverse sensibilità. Il bilancio della più grande produzione televisiva mai realizzata è abbondantemente positivo: 21 film distribuiti in più di 130 paesi e apprezzati da oltre 300 milioni di spettatori. In Rai si misura con "Guerra e Pace", il capolavoro di Tolstoj. Il prodotto non lo convince, non è all'altezza del grande scrittore. Ci riprova alla "Lux Vide": miniserie in 4 puntate, costo 30 milioni di euro, 15mila le comparse, 1500 i cavalli, 2400 i costumi, coproduzione con 7 paesi tra i quali, per la prima volta, anche la Russia. Ora si sente appagato, chiude il conto in rosso con il grande scrittore. Il personaggio Bernabei è anche un personaggio politico, del quale però si sa poco. Si dice che sta vicino a Fanfani, e si dice la verità. Fanfani gli propone nel 1971 di fare il Ministro degli Interni, ma lui rifiuta. Analoghe proposte, sempre rifiutate. Eppure egli coltiva il contatto con la politica perché è un "animale politico", specie con la Dc e le sue correnti che non sono poche, ma pure con gli altri partiti. Preferisce il ruolo di quei pompieri che stanno dietro le quinte del teatro non per orecchiare o spettegolare, ma per assicurare che lo spettacolo fili liscio. Si giudica uomo affidabile, che dice "sì" quando ne è convinto e "no" quando non lo è. Conosce a menadito il clima in cui nasce nel dopoguerra la Democrazia cristiana, gli incontri a Milano fra De Gasperi, Dossetti, Fanfani, Gronchi e La Pira. Lo statista trentino propone che il partito dei cattolici si chiami Democrazia Cristiana. Gli si obietta che quell'aggettivo sa di partito confessionale, urta con l'intuizione di Sturzo che nel 1919 fonda il Partito Popolare: un partito non confessionale. De Gasperi osserva che il nascente partito dei cattolici dovrà fronteggiare quello socialista e comunista che possiedono sigle storiche che attraggono l'elettorato. L'aggettivo "cristiana" riequilibra la situazione. Condividono tutti. Bernabei frequenta con assiduità il gruppo di "professorini" che Padre Gemelli aveva sistemato durante la guerra in un campo svizzero per rifugiati politici. Sono Dossetti, Fanfani e La Pira che non si fanno corteggiare dalla politica spicciola, si documentano, riflettono e dialogano sul programma da affidare alla Democrazia Cristiana ancora in fasce. Dossetti è l'animatore e il pilota del gruppo, rifiuta il comunismo sovietico, ma non ama il capitalismo che, dice, necessita di un'anima cristiana che non ha. La riforma del capitalismo è il tema che i "professorini", dotati d'una marcia in più che De Gasperi gli riconosce, affrontano studiando, focalizzando storia e natura della borghesia imprenditoriale italiana, amante più del profitto che della concorrenza. La dottrina sociale della Chiesa offre loro spunti preziosi ai quali si aggiunge la ricetta keynesiana con cui gli Usa finalmente escono dalla grande crisi di Wall Street nel 1929. Quella ricetta Bernabei la riassume così: il mercato è uno strumento che non va demonizzato ma nemmeno divinizzato. Quando esso entra in crisi è illusorio credere che possa medicarsi da sé. Occorre che lo Stato intervenga per imbrigliare l'impennata dei prezzi, arginare la disoccupazione, impedire il fallimento delle aziende, garantire quei servizi sociali che regalano dignità all'uomo-persona. Questa concezione di politica economica contribuirà a far sì che l'Italia, da paese in prevalenza agricolo prima dell'ultima guerra, diventerà in due, tre decenni la sesta potenza industriale del pianeta. Da quando la partecipazione statale nei settori strategici dell'economia italiana viene spezzettata e venduta, la crescita del reddito s'impigrisce fino a ristagnare. Nell'ottobre del 1962 Bernabei si reca negli Stati Uniti per firmare, assieme ai rappresentanti di altre tv, il protocollo d'intesa con gli americani per l'uso del satellite a scopi informativi. La riunione stenta a iniziare perché la Casa Bianca è impegnata a schivare il rischio di una terza guerra mondiale con testate atomiche. Kruscev decide di installare a Cuba missili a medio raggio puntati sul territorio degli Stati Uniti. Nel frattempo ricognitori americani fotografano sull'Atlantico una lunga scia di navi sovietiche cariche di missili a medio-lungo raggio con testate atomiche. Un portavoce del dipartimento della Difesa annuncia che le forze armate americane in tutto il mondo sono messe in stato di allarme, mentre il presidente Kennedy decide il blocco navale attorno a Cuba. Che Guevara, rientrando da una visita in Urss, dichiara: "L'assistenza militare concessa dalla Russia a Castro segna una 'svolta storica' e dimostra che la potenza sovietica supera ormai quella degli Stati Uniti, ai quali non resta che inchinarsi". Il 12 aprile del 1961 l'Urss invia il primo essere umano nello spazio orbitale con il Vostok 1. Vedere un russo che gira indisturbato sopra le teste degli americani, crea in Usa umiliazione tecnologica e angoscia esistenziale. Bernabei si accinge a tornare in Italia ma Palazzo Chigi lo prega di restare per qualche giorno in terra americana trasferendosi a Washington dove riceverà la visita di un diplomatico americano, Lister, molto vicino al capo della Casa Bianca. Il mondo sta vivendo in una cupa atmosfera da terza guerra mondiale. Kennedy, rispondendo a Krusciov, dichiara: "Non correremo prematuramente il rischio di un conflitto atomico nel quale i frutti della vittoria sarebbero cenere sulla nostra bocca, però non ci tireremo indietro di fronte a questo grave rischio in qualsiasi momento sarà necessario affrontarlo". È l'inizio del braccio di ferro fra i Capi delle due superpotenze. Il Cremlino accoglie con favore la mediazione offerta dal segretario generale dell'Onu, Thant, il quale propone la cessazione contemporanea dell'invio dei missili russi e del blocco navale di Cuba da parte degli americani. Ma a Kruscev non basta. Argomenta che mentre l'Urss può essere raggiunta dai missili statunitensi lanciati dalle basi italiane di Gioia del Colle in Puglia, analogo rischio non corrono gli Stati Uniti. A Lister Bernabei riferisce della proposta di Fanfani di togliere dalla base pugliese americana le attrezzature missilistiche, mentre Giovanni XXIII si rivolge agli statisti del mondo affinché si adoperino per scongiurare il suicidio del pianeta. Il viavai di Lister fra le due sponde dell'Atlantico raggiunge lo scopo. La proposta di Fanfani di cui Bernabei si fa convincente portavoce contribuisce a scongiurare la tragica sciagura di un conflitto atomico senza vinti e vincitori.

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