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Stefano Mannucci [email protected] È successo ...

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"Devo lasciare il nome all'ingresso? Non posso, sono clandestino, finiamo nei guai io e te". E aveva ragione. Se proviamo ad aiutare questa gente, togliendoli dalla strada, od offrendo loro lavoro perché ce ne fidiamo, lo Stato ci perseguita, oppure ci invita a farci giustizia da soli, ad armarci fino ai denti. Ma tra vent'anni questa situazione sarà comunque incontrollabile, perché la fame spinge altrove i popoli, a dispetto di ogni freno». Si scalda, Biagio, ricordando di quando «mio padre si trasferì da Bari a Milano mezzo secolo fa. Vendeva fiori, e sulle porte trovava scritto: "Vietato l'ingresso ai terroni". Ci dimentichiamo di quando eravamo noi gli emigranti, e senza andare in America». Quando i musicisti vanno in tournée, guardano in faccia la gente e vedono che aria tira. Antonacci chiude il giro di concerti 2007 giovedì 20 a Eboli, ma martedì 18 e mercoledì 19 sarà al Palalottomatica di Roma, dove poi tornerà anche il 19 aprile 2008, a conclusione della tranche primaverile del fortunato "Vicky love tour". «Per montare il palco a Palermo abbiamo dovuto trasportare via mare strumenti e amplificazione, e spostare di un giorno lo show: c'era lo sciopero dei tir. Questo è ormai un Paese malato, senza più rispetto per la collettività e neppure per i poteri costituiti. Il primo che si alza di malumore può bloccare l'economia: se domani mi sdraio per strada per rivendicare i miei diritti fermo l'ambulanza che passa e qualcun altro può morire. Stiamo diventando come il Sudamerica: tutti contro tutti. Una classe di ricconi e gli altri sempre più poveri, che si ammazzano di rate pur di resistere. E non capiscono che, se paghi tra un anno quel che compri oggi, ti costerà di più. Eppure il nostro è un popolo con una forza immensa, rinasce sempre, e se deve fare una rivoluzione la fa in modo intelligente. Un popolo che, per quanto possa apparire retorico, si aiuta da solo anche cantando». Così, Antonacci auspica «che finalmente si capisca che la musica va aiutata. Si vendono più biglietti per i concerti che non per le partite. Anche il pop è nel Dna degli italiani, come la lirica, è un bene culturale esportabile. Lo Stato deve migliorare l'acustica dei palazzetti, concepiti per lo sport. Deve investire sui giovani finanziando concorsi, borse di studio, e produzioni di cd per esordienti così come stanzia fondi per il cinema, e detassando l'Iva. Io sono forse l'ultimo dei cantautori che ce l'ha fatta, ma mi hanno garantito una gavetta di almeno tre lp. E», giura Biagio, «non appena si avvicineranno le elezioni andrò da parlare con i politici. Ti chiedono l'inno per il partito, ricevono rappresentanze di artisti, e poi nisba. La mia sarà un'iniziativa individuale: voglio vedere se esiste un leader capace di andare in tv e prendersi impegni, però usando il linguaggio della gente. Non mi sono mai esposto politicamente, ma apprezzo Di Pietro. E forse Veltroni, chissà, potrà fare qualcosa. A meno che, a gestire la questione musica, non riesca un antipartitico. Ma Grillo ha motivi più decisivi per raccogliere firme». Alla fine, però, le canzoni restano il cuore di ogni cosa. Come testimonia il dvd con il concerto del 30 giugno di quest'anno a San Siro: «L'ho lasciato così com'era venuto», confessa Biagio, «con tutte le sue meravigliose imperfezioni. Ero stato in tensione per mesi, all'idea di cantare davanti a 60mila persone nel "mio" stadio, e dopo, quella notte, mi sono addormentando ricantandomi in sogno tutta la sequenza dei brani. Lasciandomi ancora cullare dai cori di quanti, dai ragazzini ai nonni, erano venuti a mostrarmi il loro amore».

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