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Il mistero della morte del Masaccio svelato in un giallo

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283, euro 15). In una sorta di metodologia vichiana, il protagonista, Fangio Mazzarino, investiga su uno dei più misteriosi omicidi del passato, quello di Masaccio appunto, servendosi di vicende parallele e simili alla nostra contemporaneità. Un giallo secondo criteri ortodossi, quindi, ma con un originale tessuto narrativo che guarda l'azione sincronica dei fatti, dove il presente vive nella mente di Mazzarino per rivivere il passato e scoprire così l'arcano delitto. Una vera e propria passione per il giallo d'arte? «La passione nasce perché talvolta le storie ti vengono incontro. Quella del mio primo libro, ambientata a Pistoia, è nata dalla "formula" di Brunelleschi che si pensava fosse contenuta in un fregio bellissimo del 1500, molto curioso perché mancava una testa. Poi, dal momento che il periodo, per quel che riguardava la "formula", ovvero il 1400, era analogo alla storia di Masaccio, ho continuato su quel filone, dedicandomi all'omicidio di questo artista che resta uno dei più misteriosi». Un genere letterario che osserva dietro le quinte della storia dell'arte? «In realtà, io credo abbastanza nel fatto che sia poco praticata l'unione della divulgazione con la storia vera e propria. Chi scrive un romanzo, piega spesso le esigenze storiche alla trama. Io invece, ho cercato di rispettare le esigenze storiche e poi di applicare una storia sopra, che fosse poi anche contemporanea». Dove non può mai mancare il ben noto concetto Omnia vincit amor? «Sì, vince su tutto e quindi riesce a resistere attraverso il tempo anche a tutti i misteri, e a tutto ciò che c'è di inquietante nell'oscuro». È necessaria quindi una bella vicenda che unisca la storia dell'arte alla letteratura… «Sicuramente ci vuole una storia bella, curiosa, come quella sulla "formula" che Brunelleschi regalò ai della Robbia rendendoli ricchi in modo così prodigioso, tanto che persino Michelangelo più tardi, invidiava soprattutto Andrea, poi Giovanni della Robbia. O come quella, appunto, di Masaccio, morto a ventisette anni. Ma penso che, rispetto a chi racconta qualcosa di inedito, nel raccontare un giallo o qualcosa di storico, l'originalità è molto più difficile. Questa si può raggiungere forse ritornando indietro nella storia e rivisitandola con occhi diversi. Ma è pur vero che nella storia dell'arte i critici, normalmente, ne fanno un discorso formale, non indagano mai a fondo nella psicologia dei temi affrontati e degli stessi personaggi. Quindi risulta una miniera interessante andare a guardare "dietro" un'opera d'arte». Soprattutto in un periodo come quello del Quattrocento, così ricco di misteri… «Sì, ma poco esplorato rispetto al 1500. Si tratta infatti del primo rinascimento, da cui è nato tutto, è stato un fiorire improvviso dopo la grande peste, le grandi tragedie. Rifiorisce la vita, c'è un papa unico come Martino V, che ha cominciato a commissionare opere, e resta prodigioso il fatto che queste siano resistite nei secoli». Tornando al Suo romanzo, il protagonista, Fangio Mazzarino, rappresenta una figura insolita come investigatore? «L'ho immaginato un cinquantenne, un po' alla Jean Reno. È un investigatore particolare: rispetto agli altri che sanno tutto, lui ha bisogno di riempire una metaforica lavagna, e di ritrovare il bandolo della matassa indagando nel passato, nella storia».

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