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Ci siamo ispirati all'America di Leone

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per narrare la commedia degli equivoci

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Dopo "Nati stanchi" (2002), hanno ora affrontato il loro secondo film, "Il 7 e l'8", ma questa volta anche stando dietro la macchina da presa e firmando la regia con Giambattista Avellino. Prodotto da Giuseppe Caschetto con Medusa e Sky, il film, che sarà nelle sale dal 16 marzo in 250 copie, è costato 3 milioni di euro e, oltre ai due comici, vanta un cast di attori prestigiosi, tra i quali Tony Sperandeo, Arnoldo Foà, Andrea Tidona e Remo Girone. Così come nella vita, anche nel film, Tommaso (Salvo Ficarra) e Daniele (Valentino Picone) sono totalmente diversi. Il primo è poco affidabile quanto sveglio: ladro, non si sa perchè, di segnali stradali e "taroccatore" di dvd e schede telefoniche. Daniele invece, che non brilla in quanto a sveltezza, è un eterno fuori-corso a Giurisprudenza, ama frequentare una pignola e noiosa fidanzata (Barbara Tabita) e ha un padre colonnello dei carabinieri (Andrea Tidona) tutto d'un pezzo. I due trentenni sono destinati a incontrarsi e a frequentarsi: guarda caso, sono nati lo stesso giorno, nella stessa città e nello stesso ospedale. E mentre Daniele perde la testa per la bella sorella di Tommaso (Eleonora Abbagnato, prima ballerina all'Opera di Parigi al suo esordio al cinema), i due scopriranno che il giorno dello loro nascita qualcuno ha scambiato le loro culle e anche il numero del loro braccialetto identificativo: il 7 è diventato 8. Una storia sulla paternità scambiata, quindi, che nel finale rivelerà però ulteriori sorprese, come in una vera e propria commedia degli equivoci. «Quello dello scambio delle culle - ha spiegato Ficarra - è un'idea che abbiamo preso da "C'era una volta in America" di Leone. Ci chiedevamo sempre: chissà se fosse capitato a noi? Abbiamo girato il film in una Palermo in cui si ride, ci s'innamora e si vive come in tante altre città, e dove le gente può anche permettersi di morire nel proprio letto, non solo sparata da qualcuno. Ci tenevamo a rappresentare una Palermo normale e non legata ai soliti clichè, per questo non abbiamo imposto a nessuno di esasperare il dialetto siciliano. Imitare se stessi è la cosa peggiore. Abbiamo fatto leva sulla sana stupidità dei personaggi. Per noi è impossibile un raffronto con i nostri corregionali comici, come Franchi e Ingrassia: sarebbe un paragone irriverente, anche se le loro battute ce le abbiamo nel dna. Come quelle di Pino Caruso, che sono entrate nel linguaggio quotidiano. Il lavoro di regia a tre è stato divertente ma non privo di qualche frizione. Si è trattato di un'esperienza drammaticamente vera. Più che a tre, spesso era addirittua a sei mani. Litigavamo perché eravamo in contraddizione con noi stessi e d'accordo con quello che sosteneva l'altro». «Abbiamo cercato di darci un metodo - incalza Picone - ma è bastato poco per costringere tutta la troupe a rassegnarsi. Il primo giorno che ci hanno visto gridare hanno pensato che non saremmo arrivati neanche al secondo. Poi hanno capito che è il nostro metodo di lavorare, di cercare un equilibrio e, anche se con fatica, abbiamo seguito le scene nei minimi dettagli». Ficarra e Picone, che dal 2 aprile torneranno in tv per concludere la stagione di "Striscia la notizia", per motivi di lavoro non potranno essere presenti oggi alla manifestazione romana dei personaggi dello spettacolo a favore dei Dico: «Però, condividiamo e aderiamo, perché noi siamo già una coppia di fatto». Infine, non si dichiarano contrari ad una eventuale apparizione al prossimo festival di Sanremo: «Magari, ci chiamassero - conclude Ficarra -. Anche se bisogna vedere come andrà a finire tra Baudo e Del Noce». [email protected]

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