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La scelta del critico

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TRA LE OPERE maggiori che Primo Levi ha lasciato alla letteratura italiana c'è, senza alcun dubbio, «Se questo è un uomo», sulla sua deportazione ad Auschwitz, scritto nel '47. Nel '63, però, lo fece seguire da un testo egualmente importante, «La tregua», in cui meditava sulla propria vita dopo quell'orrore, riepilogando il viaggio fortunoso che, dopo la sua liberazione il 27 gennaio del 1945, lo aveva riportato a Torino da dove era partito, attraverso quella l'Europa, da Est ad Ovest. Il cinema, di quel testo, si era già occupato una volta con un film di egual titolo realizzato da Francesco Rosi con la collaborazione, per la sceneggiatura, di Tonino Guerra, Stefano Rulli e Sandro Petraglia. Nelle cifre di uno spettacolo interpretato da noti attori (John Turturro, Massimo Ghini, Stefano Dionisi). Oggi vi torna Davide Ferrario che, da sempre, alla sua attività di regista di film di finzione («La fine della notte», «Figli di Annibale», «Dopo Mezzanotte», «Se devo essere sincera») ha affiancato spesso quella di documentarista molto apprezzato anche nei festival: a Locarno, per esempio, a Berlino, a Toronto. Ripensando «La tregua», perciò, l'ha risolta documentando i luoghi attraverso i quali è passata «la strada di Levi» per farlo tornare a casa, osservandovi però, attorno, le realtà attuali all'insegna di una considerazione precisa: quella della «tregua» che, nel mondo di oggi, ci è stata concessa dalla caduta del Muro di Berlino alla tragedia dell'11 settembre. Senza poter dire che cosa ci attende adesso. Con la collaborazione ai testi, così, di uno scrittore come Marco Belpoliti cui risale l'idea, ha cominciato con le celebrazioni ad Auschwitz del 60° anniversario della liberazione dei deportati e, via via, ha ripercorso il cammino di Levi qua, in Polonia, ascoltando Andrzej Wajda su una acciaieria che non esiste più, là, in Ucraina, soffermandosi sull'assassinio politico di un cantante inviso ai nuovi capi di Mosca. Verificando, in Bielorussia la sussistenza di sistemi propri al KGB, mentre i contadini sembrano rimpiangere i kolkhoz. Segue il deserto lasciato attorno a Chernobyl dopo l'evacuazione forzata degli abitanti, con una tappa in Moldavia da cui molti, senza più lavoro, emigrano in massa, anche se invece, in Romania, ci sono italiani che vi lavorano con successo. La conclusione, dopo aver attraversato l'Ungheria e la Germania (dove si ascoltano ancora canti nazisti) è a tu per tu con Mario Rigorni Stern, amico di Levi, cui fra quelle tante contraddizioni, si affida un messaggio di speranza. Tutto dal vivo, con incontri, interviste, presenze tutti dal vero. Un documentario, certo, ma anche un documento. Dell'oggi rivissuto sulle tracce di ieri.

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