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Addio Pazzaglia, filosofo del sorriso

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Quando Giorgio Bracardi saliva in galleria nello Studio Uno di via Teulada e riempiva di coriandoli la testa pelata di Riccardo proprio nel momento culminante in cui lanciava il dibattito di "Quelli della notte", il suo sguardo era ironico, pur se coperto di ridicolo. Impassibile, moderno e raffinato, dotato di quell'umorismo surreale sempre più raro, Riccardo aveva il ruolo di prendere le distanze da tutti noi, caciaroni e cialtroni, e ogni sera, vista l'impossibilità di aprire il dibattito sulla nascita del mondo, sul "brodo primordiale", disturbato dai "nanetti" di Frassica e le banalità devastanti di Catalano, annunciava sconfortato che il giorno dopo non sarebbe venuto. Anzi, sarebbe andato da Enzo Biagi, diretto concorrente di "Quelli della notte" su Raiuno. Buono, mite, compassato, eppur pungente - mitica la rubrica che tenne per anni sul "Mattino", dal titolo "Specchio ustorio" - Pazzaglia interpretò come un riscatto personale il successo popolare ottenuto con "Quelli della notte". Per anni si era visto rifiutare i suoi libri da una nota casa editrice milanese, la quale, ovviamente, dopo quel successo lo rincorse. Ma lui preferì pubblicare "Il brodo primordiale" dall'altro grande editore milanese, come pure tutti i libri che vennero dopo. Riccardo sapeva esprimere il meglio della sua personalità allorché la proverbiale timidezza doveva fare i conti con la sfrontatezza del suo interlocutore. In una puntata di "Quelli della notte", presente in studio Sergio Zavoli, allora presidente della Rai, Arbore prese a stuzzicarlo vivacemente, chiedendosi, per esempio, quanto guadagnasse a puntata e di chi fosse l'abito che indossava. Si trattava di una vecchia grisaglia, un abito liso e un po' polveroso, che la costumista Paola Bonucci aveva furbescamente fatto indossare all'attonito Pazzaglia, il quale, sommessamente e con lo sguardo basso mormorò: «Beh, veramente questo vestito è della Rai; però se il presidente Zavoli potesse in qualche modo favorirmi». Era in quei momenti, quando non si capiva mai se scherzava o parlava sul serio, che il suo tratto artistico ricordava da vicino i grandi maestri, Scarpetta, Eduardo, Viviani. Ma sarebbe riduttivo ricordarlo solo per quel fortunato programma. Pazzaglia, soprattutto come autore, ha fatto tanta radio, imponendosi come maestro di fantasia, creatore di idee, a cominciare da "Radio Ombra", un programma simil demenziale, dove, ancor prima di "Alto gradimento", proponeva interferenze, disturbi, colpi di scena, colloqui al limite della follia. Renzo Arbore - che nel 1984 lo volle come autore in "Cari amici vicini e lontani", il più riuscito programma tv in omaggio alla radio - lo tratteggia come un esempio di napoletanità colta che vuole essere anticonformista e originale pur affondando le radici nella tradizione classica: «Aveva idee straordinarie e forse non le ha sapute vendere tanto bene altrimenti avrebbe avuto una fama molto superiore e tale da rendergli giustizia per quello che è stato veramente.Basta dare uno sguardo a quanto ha saputo esprimere in tanti settori, dal giornalismo alla filosofia. Come non capire la portata di alcune frasi e immagini come "separati in casa" e "brodo primordiale"?». Come regista ha tenuto a battesimo molti attori, fra cui Franchi e Ingrassia, dirigendo anche Vittorio De Sica, Marisa Merlini, Aldo Giuffrè e soprattutto Modugno, del quale fu grande amico. A lui si devono i testi di alcuni dei principali successi di Modugno, da "Io mammeta e tu" a "Sole, sole, sole", "Lazzarella" e alcuni dei brani che riportarono in auge il cantante pugliese, fra cui "Come stai" e "Meraviglioso". Il pensiero corre a Rosy Gargiulo, sua moglie, giornalista e scrittrice, compagna discreta e di rara intelligenza. Vederli insieme, per tanti anni, era una gioia, e in fondo quella "Lazzarella", una ragazza un po' monella e impetuosa, fresca e vivace ma in cerca di modernità - in qualche modo risposta femminile a "Tu vuò 'fa l'americano" - era dedicata proprio a Rosy, incont

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