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Tiziano Ferro si confessa: la gaffe sulle donne messicane, la vita, le sorprese del tour

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Era sbarcato nell'austera Madrid con un dono da recapitare al suo idolo. Le aveva detto che quella canzone era per lei, ma da timido qual è, non confidava in una reazione lusinghiera. Invece Raffaella Carrà si era messa a ballare davanti a lui, lì nel salotto di casa. «E allora le ho proposto ufficialmente di partecipare al mio tour, che parte a gennaio», racconta Ferro, ancora sottosopra. «Le ho fatto una richiesta esosissima: fosse per me la vorrei sul palco ogni sera. Vedremo. Mi piacerebbe anche girare un video insieme alla Carrà. Perché il ritmo dance di "Raffaella è mia" è una festa, celebra il lato positivo del mio carattere, quello che non trova mai spazio nelle interviste. Mi dipingono come un maniaco depressivo, ma io sono anche un casinaro, uno che ti risolve le cene. L'altra settimana ho fatto il dj al party di compleanno della mia migliore amica». Capperi, Tiziano. Ci vuole fegato a chiedere a Maga Maghella di esibirsi in un concerto non suo. «Io sono un kamikaze emotivo. Anzi, un Bin Laden dei sentimenti e delle strategie. Convinco gli altri ad andarsi a schiantare da qualche parte». Con chi non avrebbe mai questo coraggio? «Con Cocciante, il mio cantautore preferito. Da sempre. Figurarsi che avevo comprato un paio di volte i biglietti per vederlo da vivo. Ma alla fine non me la sono sentita: il peso dell'avvenimento sarebbe stato insostenibile». Ma quando è successo? «Di recente, quando ha cantato a Milano e poi a Villa Arconati. Sai quelle giornate in cui il carico della vita è troppo gravoso? Quelle che se ci metti sopra anche un concerto di Cocciante non ce la fai?» Più o meno. «Riccardo è talmente un mio mito che forse non vorrei neppure conoscerlo: ho paura di incontrarlo, anche se sarà una persona squisita. Poi, magari, se mi proponesse una collaborazione scatterei in piedi». I duetti, comunque, non le mancano, di questi tempi. «Negli ultimi tre mesi ho compensato cinque anni di solitudine artistica. Questi eventi devono essere figli della spontaneità, non li puoi architettare. Laura Pausini? La conosco dal 2001, ma è stata lei a far crescere la nostra amicizia, io non volevo importunarla. Ha inserito nella sua prossima compilation la mia "Non me lo so spiegare", e per me è una benedizione pazzesca. Laura è una che potrebbe cantare canzoni di chiunque». Poi Antonacci. «Biagio è un tipo molto alla mano. È venuto a trovarmi in studio mentre registravo il cd, e in dieci minuti ha accettato di cantare "Baciano le donne". Una cosa cotta e mangiata, il tempo di aprire il microfono. L'ho sentito l'altra sera, spero che anche lui venga ospite nel mio tour». Infine Luca Carboni. «"Pensieri al tramonto", il pezzo che facciamo assieme nel suo nuovo album, è bello da far venire le lacrime, molto carboniano, molto anni Ottanta. Era da un po' che non tirava fuori cose così. Luca è stato un mio grande ispiratore, quando ero adolescente». Detta così, pare che l'ambiente della musica italiana sia tutto rose e fiori. Senza invidie o ipocrisie. «Ormai non ce n'è più per nessuno. È finito il tempo delle vacche grasse, questa industria si è impoverita, e nessuno può permettersi di fare lo spocchioso. Non sento più parlare di hotel distrutti o di lussi sfrenati. Tutti gli artisti sanno che occorre lavorare duro, che le carriere finiscono in cinque minuti. I dischi che si vendono non sono più così tanti come cinque anni fa. Gli amici mi chiedono: cosa si prova ad essere una star? Ma come vuoi che sia, è come andare a lavorare all'ufficio postale...». Insomma. «Non c'è più un margine alto di rischio, o la smania di dire io sto al numero uno e tu al due, perché ormai vendi duecento copie a settimana, mica un milione. Bisogna tenere i piedi per terra. Nessuno di noi cantanti, e sottolineo nessuno, può permettersi di tenere un atteggiamento altezzoso. Lo paghi subito. Io sono uno che fa questo lavoro per passione, ma intorno a me vedo stanchezza. E sfiducia». Farà a lung

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