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Una vita in prima linea. Salvalaggio ricorda l'amica

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Il mio Vietnam accanto ad Oriana

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E avendoti frequentata per tanto tempo, immagino già che cosa stai borbottando nel tuo vernacolo fiorentino: «Giornalisti di m...., inguaribili bucaioli, ma che cosa blaterate su di me? Ma se non ci avete mai capito nulla?». Non posso che darti ragione: Oriana Fallaci è un unicum, un po' Erinni e un po' maga Circe. Hai consumato una vita avventurosa inseguendo uno scoop, o il Santo Graal, ma in realtà eri alla ricerca di te stessa. Te lo ricordi, Oriana, la sera che ci siamo conosciuti? Fu in via Veneto, eri una piccola, fragile provinciale che lo zio Bruno, vecchio direttore di giornali, aveva spinto sulle rotaie del reportage. Poco più che ventenne, cercavi un appoggio, un aggancio in quel mondo fatuo e irreale che è il cinema. La tua idea fissa era conoscere Vittorio De Sica e Alida Valli. «Ma Alida è in America» dissi, «è partita per Hollywood dopo la fine della guerra». Tu sbattesti le palpebre su quei grandi occhi azzurri, due misure sopra la tua taglia, e sospirasti: «Ma perché se n'è andata, non stava bene in Italia?». Eri cronista in prova al "Mattino" di Firenze e ti bruciava dentro l'ansia di far bella figura. Però non sapevi come muoverti, non eri mai stata a Roma e non conoscevi nessuno. Avevi solo un biglietto dello zio Bruno, con il mio telefono. Lo zio mi scriveva testualmente: «Ti affido mia nipote Oriana, è una pazza che vuol fare la giornalista, con questi chiari di luna - però non è cattiva, non morde». Sul fatto che tu non sapessi mordere, ci sarebbe stato da ridire; ma io ancora non ti conoscevo bene, e poi non sono tipo da polemizzare. Ciò che conta è che alla tua prima intervista, da me procurata con qualche fatica, facesti subito strillare l'intervistato. Che in quel caso era una donna, la seconda moglie del presidente della Camera, Umberto Terracini. Ora io non so, Oriana, che cosa tu abbia scritto in quel tuo articolo per la "Nazione" di Firenze; quello che ricordo è che la sposa o convivente del vecchio deputato comunista mi svegliò alle sette del mattino per coprirmi di insulti. «Ma chi è quella vipera che mi ha mandato a casa?» strillava madame Terracini: «Come si permette di criticare il mio salottino piccolo-borghese, i miei mobili stile Rinascente, la mia messa in piega, e le mie scarpe di pelle di coccodrillo?». So bene, mia cara Oriana, che questi trucioli di passato ti faranno scompisciare dalle risate; ma io ricordo che era una gelida mattina di gennaio, e io stavo in mutande, paonazzo per il freddo, sotto la grandinata di improperi che non meritavo. Ho perfino cercato di difenderti: «Ma signora...» cercavo un varco tra gli insulti, «la signorina Fallaci è giovane, impetuosa, imita il new journalism americano, quello aspro che non si inginocchia davanti al potere...». «Macché giornalismo americano» finì per urlare: «Quello è solo una pugnalata nella schiena». E madame Terracini buttò giù la cornetta. Fosse ancora tra noi, la signora Terracini non sarebbe più così severa; perché in effetti, cara Oriana, tu hai inventato l'intervista a cavallo, lancia in resta. Sei stata per decenni la Giovanna d'Arco che prendeva a sberleffi i potenti. Fosse pure Gheddafi piuttosto che Arafat, lo scià di Persia invece di Henry Kissinger, tu non li hai mai presi veramente sul serio. Al contrario, li mettevi contro muro come sagome da poligono di tiro e a colpi di cerbottana li inzaccheravi con gli aggettivi più sferzanti. A proposito di sferzate, c'è il povero Kissinger, ex segretario di stato di Nixon, che sta ancora sotto analisi. Dopo il tuo abrasivo ritrattino, l'uomo non si è più ripreso. I tuoi colleghi cialtroni, cara Oriana, dicevano, «sì, ci sa fare, ma resta pur sempre una vipera». Una collega invidiosa, anni or sono, ti inviò come dono natalizio la celebre canzone "Vipera". Con questo biglietto: «È stata scritta quando non eri ancora nata, ma sono sicura che l'autore stava pensa

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