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di FRANCO CARDINI ORIANA Fallaci.

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Da tempo mi ero rifiutato di scriverne. Mi sembrava di m\alaugurio: ma soprattutto, sentivo lo scrivere di lei prima della sua fine come se essa non fosse più fra noi una specie di tradimento. A me stesso prima che a lei. Non posso dire di essere stato un amico di Oriana Fallaci. Potrei dirlo nel senso che ho avuto alcuni contatti con lei: ci siamo visti rare volte e per poco tempo, ci siamo scritti, ci siamo telefonati. Avevo soprattutto due persone che molto mi legavano a Oriana. Anzitutto sua sorella, Paola Fallaci, eccellente giornalista che per un po' di tempo mi ha contattato spesso, per questioni di carattere storico o di costume. Amabilissima, intelligente, sensibile professionista. E poi il grande Tiziano Terzani. Dovrei forse aggiungere che a Oriana mi legava in un certo senso anche Giovanni Sartori: anch'egli un amico «che ho per la verità purtroppo conosciuto e frequentato poco, nonostante lui ed io si sia, come del resto Oriana, fiorentini. Una volta chiesi a Sartori se vedesse la sua vicina di casa tanto celebre. Mi rispose che non si frequentavano granché. Intuii che c'era qualcosa che non andava. C'è sempre qualcosa che non va, tra noi fiorentini. È una storia vecchia, risale forse al tempo in cui ci si odiava tra ghibellini e guelfi. Non saprei dirlo. Oriana Fallaci è stata una straordinaria scrittrice, una grande interprete del nostro tempo. Credo sia riduttivo parlare di lei come una grande giornalista. I giornalisti, in fondo, sono un po' come certi medici analisti: hanno il dovere di restituire la realtà, la verità, come essa è davvero. Un dovere peraltro arduo: qualcuno ha detto che è impossibile parlare delle cose come davvero sono. Le cose sono sempre come ci sembrano, come appaiono: e non ci sono due persone che le vedano nello stesso modo. Forse nemmeno la stessa persona, in tempi diversi della sua esistenza. Oriana Fallaci ha parlato del suo grande secolo, che essa amava e odiava: il Novecento. Ha parlato dei suoi grandi amori: quello scomparso nel turbine della repressione dittatoriale greca, e poi ancora la sua città natale Firenze, la sua città d'adozione New York, quello che lei amava chiamare «l'Occidente». Non ho veramente mai capito che cosa sia l'Occidente. Credo non l'avesse capito nemmeno lei; che non lo sappia nessuno. Forse, l'Occidente è anzitutto questo: una paradossale contraddizione tra la bontà dei suoi sentimenti (i sacrosanti diritti dell'uomo) e la realtà della sua volontà di potenza: la sua voglia di fare, di costruire, di guadagnare, di conquistare. Una contraddizione dalla quale è difficile uscire indenni. L'Oriana Fallaci cara alla sinistra, quella che negli ultimi anni era sembrata svanire, era una feroce nemica di tutte le fedi e di tutte le idee dogmatiche; era scapigliata, individualista, libertaria. Era certo una donna «di sinistra» con tutto il carico storico che tale espressione indica. In seguito, abbiamo visto questa radicale anarchica diventar quasi una donna «di destra», difendere se non proprio la chiesa cattolica per lo meno la memoria delle sue radici cristiane, ergersi contro quello che essa riteneva il vero nuovo pericolo per tutto l'Occidente. Non ho né amato né apprezzato mai i libri che Oriana Fallaci ha dedicato alla questione islamica. Li ritengo storicamente e culturalmente sbagliati, civicamente poco responsabili. Ma oggi credo che tutto ciò sia irrilevante. Non è questo che ci resterà di Oriana Fallaci. Di lei ci resterà la grande passione, la straordinaria capacità di descrivere fatti e persone, ricorrendo magari alla forza della fantasia laddove la realtà le sembrava poco incisiva, poco profonda. Ha saputo combattere contro la dittatura dei colonnelli in Grecia come contro quella dei fondamentalisti nel mondo islamico. Forse per questo si è spesso allontanata dalla verità. Ma noi, Oriana, non t'abbiamo mai chiesto la verità. Ti abbiamo chiesto la bellezza delle tue pagine scolpite con una forza talora degna di Michelangelo; ti abbiamo chiesto la tua passione di donna c

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