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Bel ritorno a casa per Verhoeven Stone a due facce

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La scelta del critico

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L'ha diretto un regista noto, Paul Verhoeven, che si era fatto molto apprezzare tra le fila del cinema del suo Paese, almeno fino agli anni Ottanta. Poi si è trasferito a Hollywood, alla ricerca, forse, di più facili successi, come doveva dimostrare nel '92 con il tanto chiacchierato «Basic Instinct». Ora è tornata a casa, ha ritrovato gli impegni civili ed estetici di una volta e ci ha raccontato con passione spesso molto calda un episodio autentico degli anni della Resistenza olandese ai nazisti durante l'occupazione. Al centro una cantante ebrea che, anche se all'inizio — datato 1956 — troviamo in Israele perfettamente inserita fra la sua gente, subito dopo, tornando al '44, la vediamo prima costretta a nascondersi, con una famiglia trucidata alle spalle, poi dopo essere stata indotta dalla Resistenza a fingere una collaborazione con i nazisti, finita, per un equivoco, a essere sospettata di doppio gioco, solo da ultimo riuscendo a chiarire tutto. Verhoeven si impone soprattutto nelle pagine corali, con i partigiani, i nazisti, le anonime folle olandesi sotto la dominazione straniera. Immagini forti ed anche, nello stesso, tempo di grande valore figurativo, in climi ora ansiosi ora dolenti. I casi dei singoli, qua e là, sono un po' accentati, ma si inseriscono comunque senza difficoltà nel crudo ritratto realistico di quegli anni. Grazie anche a interpreti qui da noi poco noti, ma tutti sostenuti dal vigore. A metà pomeriggio, il film molto atteso di Oliver Stone sull'11 settembre. Si intitola, non a caso, «World Trade Center» perché la vicenda, sulla base dei racconti di sopravvissuti, è ambientata proprio sotto le rovine delle Torri Gemelle, seguendo gli affanni, le speranze, ma anche le disperazioni, di un piccolo gruppo di agenti di un Dipartimento di Polizia di New York accorsi per primi nel tentativo di salvare qualche vita e rimasti invece intrappolati per dodici ore sotto le macerie. L'inizio è terribile, degno delle migliori regie di Stone. La progressione dell'attentato terroristico, ancora poco chiaro a tutti, poi i suoi effetti devastanti, ricostruiti con grande sapienza tecnica. Quindi i soccorsi, ancora in cifre corali, con l'azione che si restringe presto attorno al gruppetto di agenti sepolti vivi, di cui solo due si salveranno. Mentre, in parallelo, si seguono le angosce dei loro familiari a casa, attaccati alla televisione, in attesa spasmodica di notizie. Forse, questa parte, sia con i due agenti che ce la mettono tutta per sopravvivere, sia con i loro familiari in cifre un po' bozzettistiche, è meno solida dal punto di vista cinematografico del preambolo, che ha invece un impatto visivo, ritmico e di suoni addirittura sconvolgente. Ma anche così, nel suo insieme, il film, tessuto di storie tutte vere, ha i suoi meriti. Anche perché fa ricordare. Nei panni dei due agenti sopravvissuti, Nicolas Cage e Michael Peña. Con i toni giusti.

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