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«La danza è solo una parte della mia vita»

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Raffaele Paganini, romano di nascita e formazione, dopo oltre dieci anni di musical, torna questa volta alla danza pura con l'entusiasmo di un neofita (in questi giorni di scena per Spoleto estate). Cosa ti ha dato la danza in tanti anni di attività? «Non so cosa mi abbia dato, ma certo non mi ha tolto nulla perchè sin dall'inizio ho sempre cercato di essere anche l'uomo Paganini che fa la danza. Ho conosciuto una generazione straordinaria, che mi ha preceduto, come quella di Nureyev, Plisetskaja, Baryshnikov. Ed avevo sempre notato che come persone ignoravano la felicità della vita fuori dalla danza. Ho voluto perciò costruire il Paganini uomo accanto al Paganini artista. Mi sono sposato giovane ed ora ho due splendidi figlioli di 20 e 13 anni». Quale è il segreto per far convivere lavoro, vita privata e famiglia? «Faccio 200 spettacoli l'anno: a 25 anni mi sono licenziato dall'Opera di Roma per la curiosità di fare altre esperienze. Volevo essere un artista e non solo un ballerino. La domenica ritorno a casa, vi resto lunedi e martedi, dopo aver accompagnato i figli a scuola, riparto per il mio lavoro. Ho dato tanto alla danza, ma ho cercato di togliere il meno possibile alla famiglia». La tv può ancora essere utile alla danza? «La tv di una volta era diversa. Può essere utile se dice la verità e non guarda solo allo share. Non si può illudere che si possa diventare danzatore in 8 mesi: ci vogliono otto anni! Non sono per i grandi balletti in tv ma quella danza che si addica al mezzo televisivo. Quando ho fatto Fantastico 2 c'era la Parisi e la Dorella con le coreografie di Mario Pistoni. Portavamo la nostra danza in tv accostandoci alle esigenze della televisione. Era una TV fatta bene per la danza» Teatro-danza, danza che guarda al circo, multimedialità... Ma la danza attualmente è in crisi di idee? «Penso che ci sia un po' di crisi, ma legata alla presenza di tanti geni prima di noi. Sembra che ci sia poco da inventare ormai. È stato un momento grandissimo ed anche per le coreografie. Si va allora alla ricerca di altre cose come la multimedialità, ma spesso si vedono cose strane...» Cosa pensi dei sempre più frequenti rimaneggiamenti dei grandi balletti classici? E il tuo ritorno alla danza ha un valore sentimentale? «Visto che faccio Coppelia non posso che pensarne bene. Trovo utile portare i classici in versioni rivedute e corrette nei teatri più piccoli. Ci sono capolavori nel genere come quelli di Mats Ek e Maguy Marin. Ma il mio ritorno alla danza non è un ritorno, perchè in effetti, pur interpretando per anni musical, non l'ho mai lasciata del tutto. Qui ci siamo rifatti al racconto originale di Hoffmann». Da quale di queste tre sirene ti lasceresti tentare più facilmente: insegnamento, coreografia o cinema? «Solo dall'insegnamento. Non amo il cinema e non ho mai accettato di farlo. Così come la pubblicità, salvo forse solo per cose attinenti alla danza».

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