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dall'inviato STEFANO MANNUCCI MILANO — Tra quarant'anni avremo ...

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A quell'epoca, di sicuro non ci saranno più i Coldplay, i Keane, e neppure gli Oasis. Ma è ben probabile che su qualche cyberpalco nell'orbita di Marte saliranno i Rolling Stones, che dal 1962 a oggi si sono presi una responsabilità mica da ridere: quella di incarnare la prima generazione dell'umanità che non può in alcun modo invecchiare. In questo, hanno surclassato i Beatles, sconfitti ahimè dai killer endogeni e da quelli armati, e da seconde mogli avide. Loro no: possono diventare simulacri, con le facce scolpite dalle rughe come le statue di acero degli indiani fuori delle barberie del West. Ma non hanno alcuna chance di morire. Paradossalmente, immalinconisce notarlo nella sera in cui se ne va per sempre Syd Barrett, il "diamante pazzo" dei primi Pink Floyd, lui sì usurato dalla psicopatologia e forse dall'arte povera. Keith Richards, invece, può ritrovarsi trapanato il cranio, e nelle sue vene può circolare la quantità di alcool di un saloon: lo arresterebbero per droga senza neppure fargli le analisi. Ma nessuno gli permetterà di mollare la chitarra: ha già fatto un danno colossale al business Stones con l'incidente alle Fiji, e questa è una multinazionale che non può concedersi troppe pause. Devono portare a casa lo stipendio, che diamine. Mick Jagger, ad esempio, deve pagare un botto di alimenti alle tre ex mogli (delle quali si è vendicato dedicando a ciascuna, di anno in anno, la canzone «Bitch», dal titolo irriferibile) e per i sei figli: vita faticosissima, perché per chiedere alle maestre come si comporta a scuola l'ultimogenito Lucas (nato da una storia da una notte con la modella Luciana Morad), il cantante è dovuto volare fino a Rio de Janeiro. Bravo genitore: si può chiudere un occhio sulle settemila partner dichiarate, una cifra da far impallidire Califano. Insomma, tra doveri epocali e finanziari, la ditta non può chiudere. E di concerti, che alla band garantiscono un utile di un milione e 200mila euro a sera, ne hanno cancellati già troppi. Quindi, vietate le follie: il rock'n'roll, visto dalla loro prospettiva, è una faccenda serissima. Così, si ricomincia: e il tour biennale, già visto da 4 milioni e mezzo di spettatori, riparte da Milano. Con quello che è davvero un «bigger bang»: esplosioni che annunciano la nascita di un nuovo universo, che dall'ultraschermo si espande: e dalle galassie volano fino a noi immagini di Shuttle e chitarre, l'oggettistica del presente per una band proiettata nel futuro. Il palco, da solo costa d'affitto tre milioni di euro, ed appare dannatamente classista, con le sue ali laterali in cui trovano posto, a mezzo metro dal gruppo e su due piani, centinaia di Paperoni disposti a sborsare 450 euro per godersi lo show. Che parte in modo sensazionale, con leggende transgenerazionali come «Jumping Jack Flash», «It's only rock'n'roll» e la nuova «Oh no, not you again». Jagger si presenta con una palandrana molto sixties (ma la butta presto, per il primo di molti cambi d'abito), e corre e zompa come un Gattuso più bello. Richards pare matto e dopato come Zidane, ma tutti e due hanno l'età di Mazzola. «Campioni del mondo», urla Mick in italiano, e prima di «Let's spend the night together» rivela che tra i sessantamila ci sono anche Materazzi e Del Piero. «Keith e Materazzi hanno di questi tempi qualcosa in comune: dei problemi con la testa», scherza il cantante. Poi, dopo il recente hit «Streets of love», il primo regalo al nostro Paese: «Con le mie lacrime», versione italiana di «As tears go by», la ballata incisa nel 1965 quando il nostro mercato discografico era importante: la traduzione del testo fu scritta da Dante Panzuti, un paroliere che componeva per Fausto Cigliano e Nilla Pizzi, roba da non credere. E poi il blues satanico: quel «Midnight Rambler» che sempre negli anni Sessanta fu proibito da tutte le radio americane perché raccontava un fatto di cronaca nera: di un simpaticissimo tizio di Bo

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