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Cartier Bresson, l'eternità in un istante

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Ecco la filosofia ispiratrice di Henri Cartier Bresson il padre del reportage contemporaneo. HCB arrivava in punta di piedi sugli eventi, nelle situazioni che decideva di raccontare con la sua Leica. Fotografie dai toni naturali e mai esasperate. Cartier Bresson ha ispirato la fotografia del Novecento e i fotografi di almeno tre generazioni si sono dissetati al suo stile. Tra i fondatori della mitica Agenzia Magnum con altri due mostri sacri del fotogiornalismo: Robert Capa e David Seymour. Il suo credo: mai interagire con la realtà mai strumentalizzare con la propria presenza il «fatto» che si va a documentare. E il fotografo con l'anima del pittore spiegò così la sua scelta: «L'avventuriero che è in me, mi obbligò a testimoniare con uno strumento più rapido le cicatrici di questo mondo». L'idea di Cartier-Bresson è che non si può imparare a fotografare, perché fotografare è un modo di vedere, ed è anche un modo di vivere. La macchina fotografica non è che un mero mezzo col quale fissare la realtà e del tutto realistiche pretendono di essere le sue immagini, scattate sempre con un obiettivo che restituisce un'immagine in tutto simile a quella vista dall'occhio (un 50 millimetri) e fedelmente riportate in stampa a pieno formato, senza escludere nulla di ciò che l'occhio ha visto nel mirino. La sua Leica diventa «un prolungamento dell'occhio» che può essere, a seconda delle occasioni, «un revolver, oppure il divano di uno psicanalista». La fotografia è per Cartier Bresson un punto di vista sul mondo, che coincide necessariamente con quello del suo occhio educato dal disegno a scorgere l'armonia delle forme o a ricrearla mediante piccoli aggiustamenti. Quasi un secolo di immagini attraverso tutto il mondo e tanti ritratti di personaggi importanti e gente comune, anonimi, ma di tutti Henri Cartier Bresson ha colto l'essenza del soggetto. Christian Dior, Andrè Breton, Renzo Rossellini, Arthur Miller, Martin Luther King. E ancora Pablo Neruda, Simone de Beauvoir insieme a tanti volti sconosciuti di contadini messicani, operai russi e i gitani di Spagna fanno parte della galleria di ritratti che raccontano il Ventesimo secolo. Da oggi a Roma al Museo di Palazzo Braschi si possono ammirare le foto di personaggi e anonimi scattate da Cartier Bresson: «Omaggio a Roma e ritratti» è l'antologia che grazie alla Fondazione Henri Cartier Bresson, Contrasto e Zètema e il Comune di Roma celebra il grande fotografo. Entusiasmanti le istantanee di Roma riprese durante i suoi viaggi e soggiorni nella Città Eterna. Scorci di quotidianità che esaltano per la loro immediatezza e per la capacità di fissare attimi che sfuggono ai più. Le foto raccolte in questa mostra sono state selezionate dalla moglie di HCB, Martine Franck, anche lei fotografa che ci ha regalato significativi ritratti del grande fotografo, che come tutti i fotoreporter è sempre stato schivo di fronte all'obiettivo. Si devono a lei le foto degli ultimi anni della lunga vita di Cartier Bresson, quando tornato al disegno, trascorreva le giornate vergando con la matita i fogli bianchi. Così per riconquistare il proprio tempo, come egli stesso sostenne negli anni Settanta, quando ormai sessantenne, ripose la macchina fotografica e prese in mano la matita. «La foto è la velocità della strizzata d'occhio - dichiarò - Il disegno è prendere il proprio tempo, il solo lusso». Un ritorno così nel privato, lui così riservato sempre. Cartier Bresson pur essendo la musa di tanti fotoreporter è stato anche colui che ha preso le distanze di morbose tendenze della fotografia contemporanea. Il suo rifiuto di vedere la fotografia come parte dell'arte ufficiale in forza della concezione che la fotografia era uno strumento di rivolta. Filosofo con la Leica al collo lo si può definire questo grande vecchio, scomparso a 96 anni appena due anni fa e lasciando al mondo il racconto di un mondo attraversato da cambiamenti epocali, ritratti di scienziati e arti

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