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ROSSI STUART DEBUTTA NELLA REGIA

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A lezione d'amore dai bambiniLa Bobulova mamma nevrotica nel film «Anche libero va bene»

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Il film diretto da Rossi Stuart, prodotto da Rai Cinema e Palomar e da venerdì nelle sale con 70 copie, ha visto la luce dopo tre anni di lunga lavorazione. «Anche libero va bene» è la frase tenera che nel finale dice l'undicenne Tommi (intepretato dal bravissimo Alessandro Morace) a suo padre (Kim Rossi Stuart) esprimendo così il suo atto d'amore più sincero e responsabile. Il ruolo di «libero», in una squadra di calcio, va anche bene all'adolescente se è quello che vuole il padre: così Tommi mostra come persino in una famiglia complicata, alla fine sono i bambini quelli che riescono meglio a risolvere i problemi e forse ad amare di più. Tommi ha un padre che, non senza difficoltà, fa l'operatore cinematografico free-lance. Un padre che deve sostituire anche la figura materna, a causa di una madre assente (Barbora Bobulova), in perenne fuga dalle sue nevrosi: la donna, di cui il marito è profondamente innamorato, a volte torna a casa per poi scomparire a caccia delle sue avventure. Tommi e la sua dispettosa sorella, Viola (Marta Nobili), imparano a crescere in fretta, educati da un padre dolce, immaturo e furioso, ai limiti del machismo. «Forse, essendo io un bambino a livello registico volevo vedere la realtà con gli occhi dell'infanzia — ha spiegato ieri Rossi Stuart, che ha anche scritto la sceneggiatura con Federico Starnone, Linda Ferri e Francesco Giammusso —. La mia è soprattutto una storia d'amore tra padre e figlio, un film spiato dagli occhi dell'infanzia. La storia di due esseri innamorati della stessa donna. I due genitori del film hanno personalità problematiche, ma è la madre che, con le sue assenze, spinge il padre a crescere. Non è una donna superficiale, ma ha profonde nevrosi. Al piccolo Tommi non resta che coltivare il suo amore per il vuoto: per ritrovarsi ama andare senza paura sul tetto spiovente della casa. Però, alla fine, è un bambino come tanti, vive i rapporti con i suoi compagni, il primo amore, ma anche la consapevolezza del disagio del padre misto all'amore diffidente, attento e irrinunciabile, verso una madre sempre pronta a scomparire. È la seconda volta che interpreto il ruolo di un padre dopo il film «Le chiavi di casa» di Amelio. Ma lì era tutto diverso, eravamo impegnati più che altro a seguire le invenzioni estemporanee del protagonista Andrea Rossi. Mentre qui, Alessandro Morace, al contrario, è stato talmente rapito dal suo ruolo di attore che gli elettricisti lo chiamavano Robert De Niro. Ad un certo punto, Renato, il mio personaggio dice una bestemmia. In questa scelta non c'è alcun intento provocatorio semmai è un percorso cristiano. Quando la dice, l'uomo è sull'orlo di un baratro, perde il controllo, la fiducia nella vita, nella sua famiglia e la fiducia è sinonimo di fede. Un giorno, quando i bambini si svegliano, il suo brontolio nichilista raggiunge l'apice nella bestemmia, che è un vero e proprio grido di dolore ed è la molla che fa tornare il bambino dal padre, il quale torna a sua volta a riavere fiducia. La mia passione per la regia viene da lontano. A venti anni mi presentai davanti al mio attuale agente con una sceneggiatura in mano. Comunque, per fortuna non devo scegliere tra fare l'attore e il regista. Posso sempre passare da un ruolo all'altro, mi piace variare. Ma tra le due professioni c'è differenza: l'attore implica una mimesi mentre il regista si mette più a nudo».

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