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di MARIO BERNARDI GUARDI SEI prossimo a passare nel numero dei più? Vedi intorno a te faccine compunte ...

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Ci puoi scrivere tutto quello che ti pare, puoi finalmente concederti il lusso di sbottare in quelle verità sgradite che ti sei tenuto in corpo tutta la vita, puoi assaporare, finalmente!, il gusto della vendetta. È vero: quando il notaio leggerà il testamento di fronte alla cara mogliettina che, travestita da madonnina infilzata, ti ha cornificato con tutto il vicinato, alla figlia che ha preso tutto da mammà, al figlio «ricchione» che probabilmente non è neppure tuo ma che sicuramente è figlio di "buona donna"; ebbene, dicevamo, quando il notaio leggerà il testamento, e ognuno degli eredi riceverà in faccia la sua bella porzione di vindice sterco, tu purtroppo non sarai lì a godertela. Pazienza: la tua soddisfazione te la sei già presa nel momento in cui, nel silenzio della tua camera, senza che nessuno ti vedesse o sospettasse alcunché, hai messo nero su bianco la rabbia troppo a lungo repressa. Sotto il segno del più feroce sarcasmo contro la «moglie che si è ripassata tutto il condominio» e contro quei figli che per lui sono tutt'altro che «piezz' 'e core», si congeda Agostino Vannone. Morendo «povero nel cuore», dopo essere stato «depredato giorno per giorno dalla voglia di vivere»: e non perdona nessuno, anzi si augura che i soldi che lascia gli eredi li spendano tutti in medicine. Dai testamenti olografi raccolti dall'avvocato Salvatore de Matteis («In piena facoltà...», Mondadori, 207 pagine, 14 euro) non vengono però fuori solamente ghigni amari. Infatti si vive e si muore in tanti modi, e un testamento racconta un percorso e una conclusione. Dunque, se c'è chi, come Agostino, affida alle carte estreme pena, sdegno e rivalsa, c'è chi saluta la vita che se ne va con dolente tenerezza, dando uno sguardo all'intorno, come se volesse portare con sé un caro ricordo, magari un «pezzo» del paesaggio che ha amato e dove chiede di esser seppellito; chi scherza sui suoi malanni con un «finché prostata vorrà»; chi se la prende col medico che «l'ha curato a schifo»; chi, tutto predisponendo per non far torto a nessuno, invoca: «lassateme addurmì in pace»; chi filosofeggia su quanto la vita è stata breve e quanto caduchi gli affetti. E ci sono personaggi struggentemente poetici come «'o sciancatiello» che, senza gravare su nessuno, ha sofferto per tutta l'esistenza la sua difficile condizione di poliomelitico e che ora, in previsione della morte, lascia tutto ai suoi, ma chiede di essere sotterrato non nel cimitero della città natìa, ma in quello del paesino dove ha scelto di vivere: perché è qui che finalmente si è fatto il suo «posto al sole», comprandosi «un loculo con vista mare». C'è chi scrive un testamento che pare un mezzo romanzo e ci infila di tutto e di più; e c'è chi, con tocco leggero, riesce a raccontare una vita coniugale felice. Come Andrea Sarno: «Cara Evelina, in quarant'anni di vita insieme abbiamo messo al mondo tre figli e li abbiamo sistemati. Abbiamo acquistato la casa in città dove viviamo, una casa più piccola al mare, l'auto nuova, ci siamo concessi tre viaggi all'estero, e siamo cinque volte nonni. Anche l'eredità l'abbiamo già assegnata. Sembra che ogni cosa sia andata al suo posto e che non ci sia altro da fare. Finalmente posso dirti che ti voglio bene».

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