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«Don Pappagallo, onore ma anche paura»

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L'attore si sente al tempo stesso lusingato e terrorizzato dalla figura del sacerdote anti nazista

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Devo però confessare che sono stato letteralmente terrorizzato dalla grande responsabilità di una tale interpretazione. Per superarla mi ha fornito un validissimo aiuto il regista Gianfranco Albano al quale, spesso, durante le riprese, telefonavo anche di notte». A parlare è Flavio Insinna, già interprete di «Don Bosco», che domenica e lunedì, sarà su Raiuno, il protagonista di «Don Pappagallo. La buona battaglia», dedicata a don Pappagallo, sacerdote pugliese giunto a Roma agli inizi del 1930 che durante i duri mesi dell'occupazione nazista nella Capitale ha aiutato uomini di ogni religione, cristiani ed ebrei, e di ogni fede politica, a sfuggire alla furia dei nazisti. Per questo Ciampi ha insignito il religioso della medaglia d'oro alla memoria. «Don Pappagallo» andrà in onda in prossimità della festa della Liberazione del 25 aprile. La sceneggiatura è di Furio Scarpelli e del figlio Giacomo. Insinna, durante le riprese, è stato preoccupato dell'inevitabile paragone della sua interpretazione con quella di Aldo Fabrizi che in "Roma città aperta" aveva resa indimenticabile la figura religiosa di don Morosini. Dopo don Pappagallo l'attore, attualmente nel cast di «Don Matteo», che ha ricoperto il ruolo di un gladiatore in «San Pietro», ha recitato in «Maria Goretti» e nel «Padre Pio» per la Rai, si dedicherà anche ad altri progetti professionali. La sua carriera si svolge tra il ruolo leggero che ricopre in «Don Matteo» e quello drammatico delle tante fiction religiose. Sente il bisogno di nuove esperienze? «Io vengo dalla scuola di recitazione di Gigi Proietti che ha sempre sostenuto che la credibilità di un attore consiste nella capacità di mettersi alla prova in ruoli differenti, sperimentando linguaggi diversi. Credo sia questo l'obbiettivo di ogni attore. Ed è anche il mio. Personalmente, poi, ho bisogno di tempo per immedesimarmi in una parte, sento la necessità di studiare il personaggio per rendermi credibile. Non sono capace, in tempi brevi, di accantonare un ruolo per rivestirne un altro e correre da un set all'altro. È stato questo il motivo per il quale ho rifiutato di partecipare alla fiction "Giovanni Paolo II" girata per Raiuno. Mi avevano proposto il ruolo, molto importante nella vicenda, di un operaio. Ma ero impegnato su un altro set e concentrato su storie differenti. Semplicemente non me la sono sentita». Su quali fonti di documentazione e su quali testimonianze vi siete basati per ricostruire la vita di don Pappagallo? «Oltre le fonti storiche abbiamo incontrato il professor Lisi, uno psicologo ottantenne che ha dedicato tutta la vita a mantenere viva la memoria di don Pappagallo. Ci ha confessato di averlo giurato nel 1945, proprio sulla tomba del prete. Per lui, sapere che Raiuno dedica addirittura una fiction a don Pappagallo è stata una grande soddisfazione». Don Pappagallo potrebbe essere la sua ultima interpretazione religiosa? «Non poniamo limiti alla provvidenza divina, per restare in tema. Diciamo che per adesso voglio valorizzare l'aspetto comico ed ironico della mia personalità di attore. A questo proposito c'è già un progetto». C'è un ruolo che le piacerebbe interpretare? «È quello di Gian Maria Volontè nel film "Un cittadino al di sopra di ogni sospetto". Ma forse per il cinema non mi chiamerà mai nessuno, visto che sono un attore di fiction».

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