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Tra sesso e filosofia vince la solitudine

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VISTO DAL CRITICO

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MOSHEN Makhmalbaf, uno degli autori più significativi del cinema iraniano, anziché alla poesia (come in «Pane e fiore» e in «Viaggio a Kandahar») si è rivolto oggi alla filosofia o, almeno, a un certo tipo di dissertazione filosofica. Non tanto sul sesso, come sembra annunciare il titolo, quanto piuttosto sull'amore. Ha preso perciò lo spunto da un uomo, coreografo di professione (ma si dice anche poeta) che il giorno in cui compie cinquant'anni convoca, l'una all'insaputa dell'altra, le quattro donne cui è o è stato legato per tirare le somme dei loro reciproci rapporti, presenti e passati. Le quattro donne hanno fisionomie molto diverse l'una dall'altra: una è romantica, l'altra privilegia il sesso, la terza è possessiva, la quarta è preda di molte nostalgie. L'uomo, con ciascuna di loro, via via ripercorre il cammino percorso, nell'ambito dei sentimenti che li legavano. Momenti teneri, altri appassionati, alcuni deludenti. Fino a una conclusione molto negativa perché l'uomo, pur sentendosi ancora amato da ognuna di quelle donne, in vario modo e a seconda dei rispettivi caratteri, capisce che l'unica via per lui è la solitudine. Cui alla fine si abbandona. Makhmalbaf, nonostante l'assunto filosofico e un certo spazio concesso ai ragionamenti e alle dissertazioni, si è ingegnato a proporci questi scontri (e questi dilemmi) soprattutto sul piano formale, con una rappresentazione che, in primo piano, mette le immagini e quello che possono intimamente suggerire. La cornice - a parte talune sortite nelle strade e a contatto con la natura - è lo studio dove l'uomo insegna danza a delle giovani allieve. È alternando le evoluzioni coreografiche di quelle con i momenti in cui, uno dopo l'altra, le quattro donne si fanno avanti a ricordare e, spesso, a soffrire, che l'azione si fa procedere. Esibendo ricordi, stati d'animo con cui passato e presente si inseguono, scontri verbali in cifre, però, in cui non hanno mai spazio né increspature né impennate. Mentre il clima tende sempre più, ma senza lacerazioni, a un pessimismo quieto e quasi dimesso. All'insegna addirittura della rassegnazione: quasi a voler dimostrare alla fine, che la condizione vera dell'uomo, nonostante il sesso, nonostante l'amore, è proprio la solitudine. Non tutto convince, sia sul piano narrativo sia su quello della rappresentazione, ma anche a quest'ultima impresa di Makhmalbaf non si può non riconoscere almeno una ricerca di stile. Pur meno incisiva del solito.

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