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Il sogno rivoluzionario della Repubblica romana

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E' infatti l'anniversario della proclamazione della Repubblica Romana, avvenuta nel 1849, da parte dell'Assemblea regolarmente eletta qualche settimana prima. Quella della Repubblica romana è la sola esperienza del nostro Risorgimento che ebbe la forza materiale e politica, e il tempo necessario, ancorché breve, per percorrere tutti i gradini di un classico processo rivoluzionario. Quando, il 24 novembre del 1848, il Papa fuggì da Roma in seguito ai moti popolari, per trovare rifugio a Gaeta, il meccanismo rivoluzionario si era ormai messo in moto. All'atto del suo insediamento, il 20 dicembre, la giunta non poté che proclamare la prossima convocazione della costituente. Venne quindi nominato un nuovo ministero, e finalmente il 29 dicembre fu promulgato il decreto di convocazione di "un'Assemblea nazionale che con pieni poteri rappresenti lo Stato romano". Le elezioni a suffragio diretto e universale (tutti i cittadini con 21 anni compiuti: secondo una impostazione che andava ben oltre gli altri statuti del 1848), vennero convocate per il 21 gennaio e si conclusero con una notevole partecipazione popolare. Basti pensare che circa 250 mila elettori votarono per la Costituente: oltre 10 volte quanti avrebbero partecipato negli Stati romani alle prime elezioni politiche del Regno d'Italia, il 20 novembre 1870. Il 6 febbraio l'Assemblea votò una risoluzione con cui dichiarava di "riconoscere in sé medesima la pienezza dei poteri sovrani". Il passo successivo era l'abolizione del potere temporale, che venne decisa con soli 4 voti contrari. Il 9 febbraio fu quindi approvato con 120 voti a favore su 142 votanti, il cosiddetto decreto fondamentale, composto di quattro articoli, che proclamava la fine del potere temporale dei Papi (art. 1); assicurava alla Chiesa tutto le guarentigie necessarie (art. 2); sanciva come forma di governo la "democrazia pura" (rinviando alla futura costituzione l'esplicitazione di questo principio) e adottava il nome antico e glorioso di Repubblica Romana (art. 3; "perché la sola forma che conveniva era quella che rese grandi e gloriosi i Padri nostri"); si ribadiva inoltre, sia pure in termini necessariamente vaghi, il principio della nazionalità comune come regola dei rapporti con il resto d'Italia (art. 4). Il decreto costituì un atto di eccezionale rilievo politico, giuridico e morale, fissando i princìpi cui si sarebbe ispirata la futura costituzione: repubblica, democrazia, sovranità popolare e quindi suffragio universale, separazione tra Stato e Chiesa, e garanzie a quest'ultima per l'esercizio del suo ministero. La situazione rimase fluida fino alla fine di marzo, movimentata solo dall'arrivo di Mazzini, che venne ad affiancarsi a Garibaldi, al quale era affidata la difesa militare. La presenza a Roma dei leaders del repubblicanesimo conferì naturalmente un carattere eccezionale alla nuova Repubblica, richiamando alla sua difesa i migliori esponenti del movimento nazionale. Come osservò efficacemente Trevelyan, "che ci fu un tempo in cui Mazzini governò Roma, e Garibaldi ne difese le mura, suonava come il sogno di un poeta": e quel sogno trascinò gran parte della gioventù a partecipare a una difesa disperata, dopo che la Francia aveva deciso l'invio di un corpo di spedizione per restituire il trono al Papa. Di fronte al precipitare degli eventi, l'Assemblea decise di proseguire i lavori costituenti e organizzare la difesa. La votazione finale avvenne il 1° luglio, nell'aula del Campidoglio, dove i deputati si erano trasferiti per i pericoli che incombevano sul palazzo della Cancelleria, troppo vicino alla zona dei combattimenti. Il 3 luglio la Costituzione fu promulgata dalla loggia del Campidoglio, durante l'ultima manifestazione popolare libera e lo stesso giorno il testo venne pubblicato sul "Monitore Romano". Poche ore dopo, la mattina del 4 luglio, le truppe francesi entravano a Roma. Era l'epilogo di

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