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Fossati, la voce degli immigrati in cerca di identità

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ARRIVA IL NUOVO CD «L'ARCANGELO»

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Parole da interpretare, ma come al solito sincere, pronunciate da Ivano Fossati, genovese, 54 anni, fra i cantautori storici sicuramente quello più difficile da etichettare. A distanza di tre anni da «Lampo viaggiante», Fossati pubblica «L'arcangelo», album in cui traccia personaggi sulla carta, oltre che sulla musica, proponendoli attraverso il dialogo, l'ambientazione e le situazioni, piuttosto che farceli scoprire grazie al loro comportamento. Un disco di cui si parla e si parlerà, sia per la statura del suo autore, sia per la figura tracciata del clandestino Gabriele, mezzo arcangelo mezzo immigrato, con il suo bagaglio di sete e miseria, mettendo in atto «uno dei più maestosi movimenti migratori a memoria d'uomo». Fossati, a proposito di movimenti migratori, come vede in questo momento la sua Genova, che sembra essere un po' sorda ma anche umiliata, con questa rivolta contro i neri. Un tempo i genovesi erano ospitali, abituati alle visite. Cos'è cambiato? «È un cambiamento modulare, sicuramente storico e un po' antistorico. Però dipende dalle zone di Genova: non tutte reagiscono allo stesso modo. Una città infrastrutturale, che si comporta in modo strano. Devo ammettere che non ho notizie freschissime. Io vivo in provincia di Chiavari». In questo suo ultimo disco c'è anche «Cara democrazia», quasi un'esortazione civile a fermarsi a pensare che termini come libertà e democrazia sono sempre più abusati. Lei però ha detto che oggi non regalerebbe più al centrosinistra un brano come «La canzone popolare», sostenendo altresì che per Beppe Grillo premier scriverebbe un'opera. Normale? «Direi di sì. Quando ho detto quelle frasi ero sicuramente molto amareggiato, ma confermo tutto. Quanto a Grillo, beh, la penso proprio così. Forse perché ho la certezza che non diventerà mai premier e che nel caso lo diventasse non commissionerebbe a me un'opera lirica». Lei ha detto che il pop è vitalissimo, i musicisti un po' meno. Estenderebbe questo pensiero alla classe cantautorale? «Sono cose diverse. Il pop è vitalissimo. È vero. Lo è in tutto il mondo. Per certi aspetti anche in Italia. I cantautori hanno altri problemi». Fra cui quello di non essere più creativi, di aver perso totalmente l'ispirazione. Fra quelli della sua generazione solo Paolo Conte lo ha ammesso apertamente. Gli altri preferiscono rifugiarsi in un mare di dischi dal vivo o addirittura due dischi l'anno. C'è addirittura chi sostiene che in questo modo si danneggiano le nuove generazioni. «Ammetto il problema. Forse bisognerebbe tacere di più? Non saprei. Io l'ho sempre fatto. Non posso rispondere a nome di una classe che classe non è mai stata. Ho convissuto talmente con questo problema che ad un certo punto ho fatto un album solo strumentale. Danneggiare quelli venuti dopo di noi mi sembra eccessivo». Nonostante la predilezione per il dialogo arguto, per l'indubbia capacità di rendere evidenti le sottigliezze, lei rimane un artista "per niente facile". Eccessivo anche questo? «Sì. In questo nuovo album prevale la mia vena ironica e giocosa, quasi un invito costante a non perdere forza, speranza, ma anche il sorriso, di fronte a quello che accade. Non è un caso che l'album si chiuda con una personale e quasi privata canzone d'amore, ma soprattutto con le parole ripetute "mai più nessuna nostalgia". E siamo già in un altro tempo». Lei ha cominciato a studiare musica giovanissimo. Ha iniziato con il piano, poi la chitarra, infine gli strumenti a fiato, però al conservatorio ha dato un solo esame. Come sarebbe cambiata la sua musica, e di fatto la sua carriera, se avesse studiato di più? «Sicuramente in meglio. Me lo chiedo spesso. Un tempo i musicisti erano schiavi della scrittura e della tecnica, poi tutto è cambiato. Avrei avuto un approccio più colto, vedute più ampie, con un raggio di collaborazioni vastissimo. Credo di averlo fatto egualmente, sono passato da un'altra strada e non sempre è stato facile reinventarsi». Qualche tempo fa espresse il

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