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Dal passato una favola per ricordare la regia felice di Citti

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PER ricordare Sergio Citti torna nelle sale una sua favola del '96, dettata dalle sue simpatie abituali per il grottesco e derivata da una vecchia idea di Pasolini. «Pornoteokolossal», rimasta però allo stato di intenzione. Tre vagabondi. Un italiano, un francesce e un tedesco. Lavoravano in un circo e adesso, senza né belve né soldi, si illudono di poter continuare il loro lavoro di una volta proponendo, per campagne e villaggi, degli spettacoli circensi in cui le belve sono uomini, uno truccato da nazista, l'altro da mafioso. È chiaro che non solo non li prendono sul serio, ma rischiano botte da orbi perché la gente, anziché divertirsi al giochetto (fatto con accigliata serietà), ci resta male e s'offende; con conseguenze pericolose. Una fortunata coincidenza mette in salvo i tre da nuovi rischi: un bravo parroco di campagna, abituato, per Natale, a organizzare un presepio vivente, è rimasto senza Re Magi perché quelli cui di solito si rivolgeva son risultati troppo esosi. Loro, ovviamente, hanno pretese più miti ed eccoli perciò subito ingaggiati, con la sorpresa, di lì a poco, di constatare che in quel presepio tutti sono veri salvo il Bambinello, che è di coccio perché da quelle parti la gente preferisce non avere figli. Dopo una pagina in cui i tre, assolto il loro compito, si daranno da fare per convincere quei bravi villici a tornare a far l'amore, si arriva ad una svolta tra il miracoloso e il fantastico in cui si faranno avanti una stella cometa e un Padre Eterno in doppio petto con l'indicazione di un bambino che deve nascere, probabilmente, anche quello, con la missione di salvare il mondo. Obbedienti ai segni e agli inviti, i tre, sempre più convinti, adesso, del loro ruolo di Re Magi, vagabonderanno alla ricerca del nascituro, che alla fine, però, non sarà uno solo, dato che, essendo questo mondo così traviato, per riscattarlo ci vogliono almeno dei gemelli... Una favola, appunto. Ora realistica ed aspra (almeno nella prima parte), ora indulgente con le variazioni prossime al mistero, sempre nella cifra, però, fra il popolaresco e l'ingenuo, secondo i modi e i toni che distinguevano, fin dai suoi felici esordi, il cinema di Sergio Citti. In parecchi momenti dando prova non solo di sincerità ma persino di finezza anche se il racconto, in certi suoi snodi, scricchiola un po' obbedendo con qualche fatica non solo ad una logica ma, dal punto di vista dello stile, al necessario equilibrio fra l'immagianato e il concreto, pur in più momenti sostenuto da invenzioni schiette di folclore. Fra gli interpreti, Silvio Orlando, uno dei tre: con modi raccolti e non di rado anche sottili.

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