
«I miei personaggi? Gente normale, dal vicino al macellaio sotto casa»

Il motto è "Mammamia che impressione", a ricalcare il titolo di uno dei primi spettacoli condotti insieme a Mariano D'Angelo, compagno di carriera. I personaggi e i cavalli di battaglia sono due: "Er Cipolla" e "Er Pantera", che ha impersonato entrando e uscendo da uno e dall'altro indistintamente. Il metodo di lavoro è "funambolico": è passato, infatti, dal teatro al cinema, dalla commedia al cabaret, dalla tv alle arene estive. E tra una bobina e una macchina da presa Enzo Salvi, classe 1963, ha trovato il tempo per tornare a recitare con lo spettacolo comico «Voglio un bacio», scritto insieme a Mariano D'Angelo, Luca Biglione, Pier Paolo Mocci, la regia di Marvin Ara e l'assistenza di Massimiliano Mereu, in scena da domani a Roma, sul palco del Teatro dei Satiri. «Ci sono tutti gli ingredienti per evadere - ha commentato - il cabaret è fatto di strutture semplici e il mio cabaret non è fatto su basi politiche o sociali e i personaggi che metto in scena vanno dal vicino di casa al macellaio, per un pubblico che va dal pediatrico al geriatrico: in platea ci sono tutte le età ma soprattutto i bambini. In repertorio, quindi, ci sono anche le favole e, quando dico "Pappa voglio un bacio" sto riscrivendo una tradizione centenaria di fiabe, a partire dall'aneddoto dal rospo e la principessa». Enzo Salvi, l'eterno Peter Pan? «A vita... può essere una filosofia, un pensiero da seguire. Il mestiere di far ridere è un mestiere difficile: per far piangere basta poco, basta un lettino con una flebo e un dottore sopra il palcoscenico ma per far ridere ci vuole di più. Uno spettacolo, ad esempio, non può durare più di un'ora e mezza. Se dura più di un'ora e mezza diventa un sequestro». Ci sono strutture predefinite? «Certo: sono scenette che nascono e finiscono in cinque minuti. Certo, questo è meno impegnativo della messa in scena di una commedia, che ha una struttura più complessa». Che fine ha fatto "er cipolla"? «Mi ha dato la notorietà. È stato un personaggio nato dall'osservazione di una piaga sociale, quella della droga. Certo, cerco sempre di non esagerare con le battute e comunque, il Cipolla, entra in scena barcollando». Un ricordo degli esordi? «Il coraggio, quello di esibirsi in posti improponibili. Poi, tra il '92 e il '94 in compagnia di Mariano D'Angelo iniziammo a fare cabaret all'interno dell'arena estiva "All'ombra del Colosseo". Reinventammo un modo di fare spettacolo: fortuna, insomma, che sono arrivate le arene estive». E i locali invernali? «Praticamente inesistenti. Insomma, molte volte ci ritrovavamo a esibirci sul bancone oppure, nei camerini se aprivi la tenda trovavi il muro e niente altro. Dieci e più anni fa non c'erano ancora le strutture adatte per accogliere il cabaret. C'erano i teatri sì, ma niente locali adatti per noi». Cabarettista o attore? «Se dovessi scegliere una definizione sceglierei quella di "sponsor ufficiale della simpatia"». Quando ha deciso di vivere con il mestiere di attore? «Quando stavo sulla piazza e facevo ridere quelli che mi stavano attorno. "Ora vi faccio ridere gratis", gli ho detto, "ma d'ora in avanti dovrete pagare per ridere e venire a vedermi"». C'è ancora posto per il cinema? «A giugno riprenderanno le riprese per il film con Boldi e Vincenzo Salemme, in programma nelle sale cinematografiche il prossimo Natale. Girerò un altro film, invece, in febbraio e, ancora, in programma c'è un tv movie "Il bambino e la Befana". Nel frattempo continuo a condurre programmi televisivi per bambini sul wrestling». Tv cattiva maestra? «La televisione è un mezzo di comunicazione e di informazione insostituibile anche se, negli ultimi tempi, dovrebbero stare più attenti, selezionare e non lasciare le porte aperte a programmi che non potrebbero essere visti, ad esempio, dai bambini». I suoi figli cosa ne pensano di lei? «Ne ho due di dodici e di otto anni. Manuel e Nicola sono i miei più grandi fan. Mi consegnano la lista dei compagni di classe che vorrebbero avere un mio au
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