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Nel libro illustrato «Sogni e fagotti» la storia dimenticata degli emigranti del nostro Paese

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Italia, quando partire era l'unica speranza

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Partito a 16 anni, salutando 7 fratelli e 2 sorelle, i genitori anziani, 11 bocche da sfamare. Il suo primo obiettivo era scovare l'albero che fruttava le sterline d'oro, perché chi si alzava presto dava una bella scossa e si riempiva le tasche. Anche il babbo di Camillo pensava che riuscisse a trovarlo: «Vai, figlio mio, ma ricordati sempre che il pane degli altri ha sette croste». Un avvertimento che avrà ereditato da suo padre, ma che si perde nella notte dei tempi. A confermare il sogno dorato degli emigranti la testimonianza di Charles Dickens che in "American notes" del 1842 scrive: «A bordo della nave che li avrebbe portati in America tutti avevano la stessa storia. Dopo aver risparmiato, preso un prestito o venduto tutto per pagarsi il biglietto, erano andati a New York pensando di trovare le strade coperte d'oro. Invece le avevano trovate coperte di pietre molto dure». Il sogno che si infrange con una realtà, tutt'altro che facile da vivere. L'importante però era partire. Per sperare. Per sognare. Per ritornare. Se la nave costava troppo, se l'America era troppo lontana, bisognava salire su un treno. «La stretta di mio padre che m'incitava a salire in carrozza. L'ultimo bacio di mia madre. Il resto sparì tra la nebbia delle mie lacrime. Stavamo andando verso l'ignoto... Eravamo appena usciti da una galleria, un abbagliante luccichio dilagava tutto intorno e andava a perdersi ai confini del mondo. Sulle prime ebbi paura. Poi pensai: il mare! Quella dev'essere la cosa che chiamano mare». Un'altra testimonianza, che aiuta a capire uomini e anime, è quella di Pascal D'Angelo in "Son of Italy". Un fagotto. Una valigia e tre cappelli. Nella memoria autobiografica di Camillo Abrami ci sono le lire spese dai suoi genitori per il corredo: 79 e 35 centesimi per una valigia di cartone (5 lire), una sveglia (5), un paio di scarpe da lavoro (10) e un altro per presentarsi (12), un vestito di cotone (9) e uno da lavoro (6), due paia di pantaloni (8), tre paia di calze di lana (3), tre asciugamani (3,75), due cravatte (2), l'ombrello (1,50) e tre cappelli (4,10) per un totale appunto di 79 lire e 35 centesimi. Famiglie sdraiate ovunque, in soffitte e sotterranei. Sull'umido pavimento, sui sacchi o sulle panche, in spazi senz'aria e senza luce, anche di giorno. Quel pane duro come un pezzo di ferro che non si bagna. E purtroppo quella vergogna della tratta dei fanciulli che all'alba del Novecento venivano venduti per 100 lire, la metà del costo di una macchina da cucire. «Non sono centinaia, ma sono migliaia - denunciava Ernesto Nathan - i casi in cui il potere giudiziario dovrebbe intervenire, assumere la tutela dei minorenni sfruttati o corrotti. Lo Stato deve punire quei padri che vendono i figli agli spazzacamini o ai suonatori d'organetto e quelle madri che trattano la verginità delle proprie figlie». Parole dure. Come la vita che gli emigranti hanno dovuto affrontare. In ogni famiglia d'Italia ci sono storie come queste. Le raccontano i nonni. «Conservare la nostra memoria non vuol dire solo avere rispetto per i nostri padri e il nostro passato. Vuol dire cercare in quel passato il senso di ciò che siamo oggi. Cogliere le ragioni delle cose e trarne linfa per il futuro». È il messaggio di Andrea Tagliasacchi, presidente della Fondazione Paolo Cresci, il fondatore di un archivio che vanta la più importante raccolta di documenti sull'emigrazione italiana messa a disposizione di Maria Rosaria Ostuni e Gian Antonio Stella, autori del libro "Sogni e fagotti", edito da Rizzoli libri illustrati. Quell'esodo di 26 milioni di italiani rappresenta un patrimonio vivo di cultura, lingua, emozioni cui attingere ogni giorno.

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