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In «Reinas» una mezza parodia spagnola

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Una mezza parodia spagnola di quegli pseudo matrimoni tra omosessuali legalizzati di recente dal governo di Madrid. Visti, però, soprattutto dalla parte di cinque madri in attesa dell'evento: una è una ninfomane che non esita a fare sesso con il compagno del figlio; un'altra, attrice di professione, ne ha già viste di tutti i colori però non approva che il figlio stringa un rapporto con il figlio di un giardiniere; la terza è arrivata addirittura dall'Argentina ma non si è voluta separare da un cane che fa entrare in crisi il suo sedicente futuro genero, mentre la quarta, proprietaria di un albergo, è costretta ad affrontare uno sciopero del personale sobillato dal capo cuoco che pure da tempo è il suo amante. La quinta, forse sarebbe la meno eccentrica di tutte così, essendo di professione giudice di pace, non riesce a non provare imbarazzo all'idea che proprio a lei stia per toccare il compito di avallare una cerimonia cui, per colmo di disgrazia, partecipa anche suo figlio. Attorno quei figli strambi e alcuni padri, disegnati tutti dalla regia di Manuel Gómez Pereira, noto per altre commediole facili, l'ultima, «Salsa Rosa», con un piccolo repertorio di incidenti, di equivoci, di mezze sorprese, puntando in special modo su quelle madri tenute il più delle volte ai margini della caricatura, anche quando i rapporti con i figli non vanno oltre i luoghi comuni consueti della possessività, della gelosia, dell'egoismo, accantonando quasi del tutto i sentimenti veri. Sostengono questi accenti caricaturali quattro attrici spagnole di solito molto festeggiate, da Carmen Maura, a Marisa Peredes, a Verónica Forque, a Mercedes Sampietro, insieme con un'attrice argentina, Bettiana Blum, poco nota qui da noi ma piuttosto apprezzata al suo Paese in parti generalmente comiche. Possono un po' divertire anche se, vari snodi del racconto e questo o quel personaggio rischiano di provocare almeno del fastidio. Si tenga presente, però, quella parodia con cui è visto quasi tutto all'insegna di una beffa che qua e là sfiora persino il dileggio. A cominciare dal titolo che, pur tradotto «regine» dallo spagnolo, in gergo sta scopertamente ad indicare gli omossessuali effemminati. Esattamente come, in inglese, il termine «queen».

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