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Quella volta che Vecchioni autocensurò la sua «Marika»

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Il mio corpo è una cassa di polvere da sparo che fa saltare in aria i nemici». Così Andaleeb, vent'anni, lascia scritto prima di trasformarsi in una pioggia di resti umani. A cercare di capire perché una donna arriva ad uccidersi uccidendo altri giovani e, quindi, il futuro del suo stesso Paese, ci ha provato anche un cantautore impegnato come Roberto Vecchioni. «Canta Marika canta, come sei bella l'ora del destino, ora che stringi la dinamite come un figlio in seno...Canta Marika canta siamo i tuoi occhi, canta che Dio ti guarda...stringiti forte il fiore che porti sotto il vestito nero, volano duri petali per ricoprire il mondo intero». «Marika» è la canzone che Vecchioni non cantò nel concerto del 21 marzo 2004, al teatro Smeraldo di Milano, perché contestato dai giovani della Comunità ebraica che la considerarono un inno al terrorismo. Ma il prof. aveva già deciso di non cantarla il giorno successivo agli attentati di Madrid: «Non rimetterò quella canzone in scaletta per molto tempo». Il cantautore spiegò subito che nel brano non c'è «insulto, indifferenza o partecipazione alla morte, e, "Marika" non è un inno ma la storia vera e senza giudizi di un animo disperato, sospeso tra la vita e la morte. Io fotografo la situazione e fotografare non significa partecipare ma rispondere alla mia necessità di curiosità e di letterarietà». E le Marika, Maliza, Zulihan, vedove nere «imbottite» d'odio oltre che di esplosivo, nella «Canzone di Hawa» hanno il loro inno di martiri: «L'adorata Cecenia inondata di sangue è diventata rosso fiamma, nel fuoco muoiono le sorelle, e mai saranno vittime invano». S. B.

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