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Fascino discreto della terza età

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Nel nuovo libro Piero Ottone racconta i sottili piaceri della vecchiaia

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..».Leggero e ironico, come appariva sulla scena dei teatri parigini o nei film musicali. Qualcun altro - nei secoli - ha spiegato (in vari modi, giungendo a conclusioni dei generi più diversi) come debba essere affrontata e vissuta la vecchiaia, a partire da Seneca (nel «De Senectute») un filosofo rispettabilissimo, che inciampò nel disgraziato incarico di consigliere di Nerone. Ci riprova Piero Ottone, giornalista di razza, ex direttore del Corriere della Sera (nel contrastato periodo che vide l'esodo di Indro Montanelli e di molte altre grandi firme, e la fondazione del Giornale) che - a ottantuno anni (ben portati, e gioiosamente vissuti - ha pubblicato «Memorie di un vecchio felice», con un sottotitolo di gusto erasmiano: elogio della terza età (Longanesi, 194 pagine, 15 euro). Ottone racconta la sua condizione con una leggerezza paragonabile a quella di Chevalier. Sa usare la penna, sa raccontare le storie, sa essere chiaro e accattivante. Gli manca, forse, quel tanto di ironia che spingeva l'indimenticabile artista francese a consolarsi degli acciacchi pensando alla morte. Ottone dedica molte pagine alla "sua" vecchiaia, ma ne riserva in misura ancora maggiore ai bilanci della sua vita. E la sua visione della terza età è serena (e compiaciuta) come il bilancio che traccia del proprio passato. Parte da considerazioni valide, Ottone. «Coloro che scrivono sulla vecchiaia tendono per lo più alla rassegnazione - osserva - Considerano la vecchiaia qualche cosa di simile a una malattia, a una sciagura: la considerano una grande sventura alla quale non ci si sottrae, se non si muore prima, ma che è foriera di pene, di dolori, di minorazioni». I vecchi tendono «a esorcizzare la condizione senile, ad allontanarla nel tempo, a nasconderla». Verissimo. Questo atteggiamento ha fatto la fortuna delle beauty farm e dei chirurghi estetici. Uomini e donne (senza distinzioni) cercano di apparire giovani anche quando non lo sono più. «Ormai si è abolito il vocabolo. La vecchiezza, la solenne senectus degli antichi, è diventata burocraticamente la terza età, e ora, a mano a mano che la vita si allunga, si parla di quarta età». Si continua a rincorrere l'elisir dell'eterna giovinezza. Perché ci si vergogna di non essere più giovani. E questo stimola gli stati d'ansia, l'insofferenza, la competitività, a tutto detrimento della serenità. «Non vi sono età felici, né età maledette- sostiene Ottone - ma la vecchiaia è un'età preferibile alle altre». Perché? Perché finiscono (o dovrebbero finire) gli affanni, le rincorse, le ricerche di nuovi obiettivi che sono sempre faticosi da raggiungere e da conservare. Non si è più attori, ma spettatori. «L'attore è impegnato. Lo spettatore, invece, è sereno. Ride, lo spettatore, se lo spettacolo è allegro, oppure si commuove, versa qualche lacrima, se lo spettacolo è tragico. Ma non perde la serenità, sa già come si concluderà lo spettacolo, sa che in fondo è tutto un gioco, il personaggio ucciso si alzerà e verrà a prendere gli applausi dopo che sarà stato calato il sipario, la donna vilipesa e piangente andrà allegramente a cenare e a bere champagne, a mezzanotte, coi suoi ammiratori». La filosofia di Ottone è semplicissima (o semplicistica): noi viviamo, sostiene, per creare ricordi da godersi durante la vecchiaia. Con la serenità si torna ad apprezzare il gioco, che è poi l'anticamera dell'arte, con il dispiegarsi della fantasia e della sensibilità. Si ama di più il bello, e si ama di più il prossimo. I ricordi che la memoria offre a lui - a Piero Ottone - sono tutti (o quasi tutti) positivi, tinteggiati in rosa. Ha fatto una grande carriera, raggiungendo i vertici della sua professione, ha girato il mondo, ha coltivato hobby aristocratici (nove buche di golf, ogni mattina, quando viveva a Londra; la barca a vela, con le lunghe crociere in compagnia degli amici, e la consolazione a

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