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È il terrore a far girare la Storia

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Un'emozione razionale. Gli attentati di Madrid, di Londra, nel Medio e nell'Estremo Oriente hanno dimostrato che i terroristi fanno sul serio, e non c'è dunque ragione di disinnescare il segnale d'allarme. Ma come ci plasma, come ci cambia quest'ansia globalizzata? Era diversa la parcezione del pericolo nelle altre epoche? «La paura è il motore della storia. Altroché il desiderio di conquista, l'invidia, il potere, e lo spazio vitale. La storia si misura, si modifica, si sviluppa in ragione della paura. Sentimento antichissimo e ancestrale che provoca esodi, diaspore, guerre, scoperte. Persino progresso». Francesco Perfetti, professore ordinario di Storia Contemporanea alla Luiss di Roma, si accalora nel sostenere questa tesi. E ripercorre quanto è accaduto in Italia negli ultimi ottanta anni. «Il fascismo si affermò perché la borghesia accolse con sgomento l'ondata di scioperi e le violenze del dopoguerra e - dopo la nascita del Partito comunista (nel 1921) - temette che il modello bolscevico si affermasse anche nel nostro Paese. E il fascismo divenne regime, nel 1926 (un anno dopo il delitto Matteotti) per la paura del salto nel buio». Ancora «la paura del comunismo fu alla base del trionfo democristiano nelle elezioni del 1948. Ed è facile prevedere che la paura dominerà la prossima campagna elettorale: Berlusconi agiterà ancora lo spettro di una vittoria comunista; il centrosinistra sta puntando sulla paura del regime e del totalitarismo della destra dominata da un uomo che ha accumulato un potere eccessivo». Ci fu un'era storica dominata dalla paura (o, almeno, questo è quel che si legge nei libri): il Medioevo. La paura dell'anno Mille, la paura della peste, la paura dell'inferno e della dannazione eterna. «Ma avevano meno paura di quanta ne abbiamo noi oggi», dice Franco Cardini, il più autorevole fra i medievalisti italiani. «La vera paura fu quella della peste del 1347», la peste nera che uccise un terzo della popolazione europea. «Il XIV e il XV secolo furono dominati dal terrore della morte». Ma, aggiunge Cardini, «le due variabili fondamentali che determinano la paura riguardano la qualità della vita e il senso della sicurezza. La paura è inversamente proporzionale alla qualità della vita. Carlo Marx diceva ai proletari: 'Voi non avete da perdere che le vostre catene'. Era così durante i secoli bui: la gente non aveva granché da perdere, e quindi non aveva soverchi motivi per metabolizzare la paura. Mentre noi occidentali, oggi, siamo nelle condizioni ideali per essere accompagnati dal terrore. Il Novecento è stato il secolo delle paure individuali, studiate dalla psicanalisi. Il XXI secolo si apre alle grandi paure collettive: il terrorismo, le ribellioni popolari (come quelle che stanno mettendo in subbuglio la Francia), le guerre di religione». Viene a mancare la sicurezza e questo amplifica l'angoscia, e ne moltiplica gli effetti, anche nella coscienza individuale. Finiremo tutti dallo psichiatra o dallo psicanalista? C'è un'altra ragione alla base dei timori del giorno d'oggi: la globalizzazione delle emozioni. È la teoria di McLuhan, rivisitata in termini di angoscia. Duecent'anni fa un terremoto all'altro capo del mondo non provocava alcun effetto, semplicemente perché non se ne aveva notizia che dopo molto tempo. Oggi uno tsunami nell'estremo oriente, un tifone a New Orleans o un attentato a New York provocano interrogativi colmi di ansia in tutto il pianeta, in tempo reale. Ci si domanda immediatamente se l'effetto serra provocherà (entro pochi giorni, o poche settimane) un cataclisma naturale anche qui da noi; ci si chiede quando i terroristi colpiranno in Italia; e qualcuno ammonisce che anche le nostre banlieu verranno messe a fuoco e fiamme in un futuro prossimo. Difficile restare sereni, circondati come siamo da tanti profeti di sventura. Ci vogliono nervi saldi e un armadietto colmo di tranquillanti e ansiolitici.

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