Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

di MAURIZIO SERRA SI SENTIVA l'esigenza di una nuova biografia di Hitler, dopo le polemiche sul Führer ...

default_image

  • a
  • a
  • a

Dell'uomo, dell'artista mancato, del dittatore fin troppo riuscito, dello stratega dalle intuizioni prima fenomenali poi catastrofiche, dell'amante frigido e naturalmente del "più grande criminale della storia", del "mostro", del "pazzo" ecc. si sa, o si crede di sapere tutto. Molto più delicato stabilire il rapporto che ebbe con i "suoi" tedeschi di cui, grazie all'odierna longevità, circolano ancora alcuni milioni di testimoni dalle tempie ingrigite e per lo più reticenti. E' il popolo che Hitler volle guidare alla conquista del mondo per poi punire cercando di portarselo dietro in un gigantesco suicidio collettivo, come certi santoni californiani o asiatici di oggi. Uno di quei milioni di testimoni, quasi coetaneo del regime e ancora con i calzoni corti quando fu arruolato e combattere una guerra insensata nella Hitlerjugend, si chiamava Christian von Krockow. Era un nobile prussiano (il che significa molto, nella dialettica mentale col "plebeo" austro-boemo Hitler) che ha dedicato tutta la vita a studiare l'identità dei suoi compatrioti. Krockow, recentemente scomparso, ha firmato molti, importanti volumi tra cui I tedeschi nel loro secolo (Il Mulino) e L'ora delle donne, non ancora tradotto in italiano, ricostruzione a quattro mani con la sorella, del calvario della popolazione femminile della Pomerania e della Prussia orientale di fronte all'avanzata dell'Armata Rossa. L'ultima fatica che ci ha lasciato prima di morire (Hitler und seine Deutschen List Verlag, Monaco) affronta il tema forse più difficile nella vastissima bibliografia sul nazismo: l'innamoramento di tipo isterico tra Hitler e i suoi sudditi, largamente e lungamente devoti; un fenomeno di ipnosi collettiva che ha trovato un limite solo nell'istinto di autoconservazione della specie. Che cosa ha fatto sì che un personaggio del genere, fallito in ogni campo, sia giunto democraticamente al potere? La spiegazione più sintetica e azzeccata l'ha forse data uno scrittore che del diavolo se ne intendeva: Thomas Mann, il quale sin dagli anni trenta intitolò un suo breve scritto, Bruder Hitler, fratello Hitler. Mann aveva intuito che Hitler era il "doppio" dell'uomo tedesco, il lato oscuro ma tentatore e affascinante (il fascino di Mefistofele) di una società frustrata dal corso della storia moderna. Certo la Repubblica di Weimar era minata alle radici e i vincitori fecero ben poco per salvarla, specie dopo la scomparsa nel 1929 del più grande statista repubblicano (che poi era monarchico) Stresemann. Disoccupazione, anarchia, convulsioni sociali, complotti insurrezionali dei comunisti controllati da Stalin spianarono la strada all'avvento di Hitler quanto gli errori della diplomazia inglese, cecoslovacca, polacca e soprattutto francese. Mussolini, che aveva giocato bene con il fronte di Stresa nel 1935 per fermare l'espansionismo nazista quando era ancora possibile farlo, entrò fatalmente nell'orbita del Terzo Reich, diventandone complice, poi vassallo e (indirettamente) vittima. Ma il malessere tedesco tra le due guerre era veramente tale da rendere inevitabile l'ascesa del Führer? Qui l'analisi continua e continuerà a dividere gli storici. Alcuni dati sono comunque eloquenti e Krockow fa bene a ricordarli. L'apparato industriale del paese era fondamentalmente intatto e La Germania di prima del fatale 1933 si avviava a ridiventare la locomotiva d'Europa. La scienza, la chimica, la fisica tedesca, grazie anche all'apporto ebraico, restavano le prime del mondo. Gli effetti del crollo di Wall Street furono più sensibili a Londra o a Zurigo che a Francoforte. La produzione agricola non soffriva di una mancanza di terre (secondo la demagogica tesi nazista del Volk ohne Raum, il "popolo senza spazio", precorritrice dell'invasione ad Est) ma semmai di un eccesso di latifondi e di aree non coltivate. E allora? Una risposta univoca non può esistere, ma Krockow insiste sul bisogno di rivincita dei tedeschi, sulla ferita della modernità e la consapevolezza di essere "troppo" mentre venivano consid

Dai blog