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La Quarta di Brahms non fa per Harding

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Ma le cose non sono andate secondo i voti covati dall'attesa. Effetto anche della prima parte del programma che ci scaraventava negli organi uditorî il «Concerto in si minore per violino ed orchestra op. 61» da Edward Elgar partorito fuori tempo massimo nel 1910. Si sa, gl'inglesi sono sempre stati a corto di compositori magni: il loro supermusicista è stato Händel, che non era inglese ma tedesco. Umanissimo dunque che abbiano eretto Elgar su un piedistallo traballante. Il suo «Concerto» sesquipedale (50' min.), appena nato già vecchio, d'un color gorgonzola, d'apparenza e sostanza spampanate, sfiatatamente tardoromantico e convulso di rancido pathos, c'ha arrovesciati sulla scarlatta poltrona: sí che col lapis pericolosamente penzolante dal bracciolo ci siamo un po' addormiti: fingendo all'uopo la commendevole postura del critico assorto. Vittima di questa musica scarruffata ed imbalsamata anche il bravo violinista berlinese Kolja Blacher, intrappolato tra gli screanzati virtuosismi e le sudate effusioni della partitura. Ad Harding da solo è toccata di poi la «Quarta» di Brahms, da lui diretta colla partitura squadernata sul leggío. Com'è possibile che un direttore rinomato, ancorché giovane, non conosca par coeur detto capolavoro? Esso partecipa, assieme alle altre tre Sinfonie di Brahms, alle nove di Beethoven ed alle ultime di Mozart, del repertorio di base di ogni bacchetta che intenda agitarsi dinanzi all'orchestra. In ogni caso l'esecuzione del maestro inglese è stata corretta ma la di lui lettura poco profonda: a tratti fin ingessata in un'accademica routine. Dalla «Quarta» è lecito e doveroso cavare maggior dovizia d'affetti, piú variegate nuances di pathos, ad illuminare e cantare gli ultimi, disperati insieme e fieri, barbagli dell'ideale «classicistico» nella decadenza dell'età tardoromantica. Harding, per contro, filava lungo i binarî sinfoniali quale un Eurostar efficiente ma coi finestrini appannati: impotenti a riflettere il panorama dintorno. E se a Brahms neghi gli autunnali panorami dell'animo è come se a Chopin svellessi il molle cuore, a Bach il Domineddio fulgente nei cieli, a Mozart il sorriso dell'ambiguità abissale ed a Stockhausen la gelida perversione del gusto suo proprio.... Da Abbado Claudio ad Harding claudicante. Al termine, però, consensi infiammati (d'una fiamma elettrica) e plebiscitarî (poiché oggidí all'umanità è subentrata l'unanimità).

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