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La storia personale oggi è sul digitale

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Alla base di questa «distorsione» vi sarebbe la tendenza degli utilizzatori del videofonino, da una parte, a «eventizzare» momenti insignificanti della loro esistenza, e dall'altra a banalizzare i momenti storicamente «densi», come la morte di un Pontefice, attraverso la partecipazione superficiale affidata alla riproduzione digitale. Il tutto con l'unico intento di ostentare il proprio ego e col risultato di privare di senso profondo ogni esperienza emotiva. Il tema è stuzzicante e mi porta a chiedere un po' di spazio per dire la mia. Prima considerazione: è senz'altro vero che più di ogni altro «medium» personale il videofonino accorcia il tempo che separa la realtà dalla sua riproduzione «condivisa» con qualcuno che non sia l'autore. Con la videochiamata, questo tempo tende addirittura allo zero. Come avviene in una trasmissione televisiva, si dirà, ma con la differenza - enorme - che qui broadcaster e spettatore sono due singoli individui. Detto questo, è altrettanto vero che si tratta di una tendenza che non è iniziata oggi: da quando i ricordi sono affidati alla fotografia, i tempi di riproduzione delle immagini si sono drasticamente ridotti. Tutti ci ricordiamo di quando per lo «sviluppo e stampa» di una pellicola ci volevano 48 ore. Poi le 48 ore sono diventate 30 minuti: il tempo di riempire il carrello al centro commerciale e, voilà, si tornava a casa con le foto fresche di stampa. Salvo mugugnare su quanti «scatti» erano stati sprecati, magari perché sfuocati, mossi o «impallati» da un passante. Con l'introduzione del digitale lo scatto è a disposizione un attimo dopo averlo realizzato. Il videofonino mi permette di riprodurre il mio «istante» congelato in pochi secondi. E di condividerlo con qualcun altro, anche qui con tempi accelerati. Questa è sicuramente una novità che crea un cambiamento e richiede non solo un adattamento dei nostri processi cognitivi, ma anche l'elaborazione di nuove norme di convivenza. Sfide del genere sono state affrontate e vinte nel passato. Platone pensava che la scrittura fosse una iattura perché ci privava della nostra capacità di usare la memoria: eppure se oggi possiamo leggere i dialoghi di Socrate, ma anche la lista della spesa, è perché Platone (o nostra moglie) ci ha «consegnato» un messaggio. Scrivendo. Nello stesso modo mi chiedo cosa e chi saremmo oggi senza le immagini dello sbarco in Normandia, della guerra del Vietnam o di Ground Zero? Seconda considerazione, che è anche un'obiezione: il videofonino, dice Salarelli, trasmette solo «brandelli del passato». E che altro potrebbe fare? E' una macchina del tempo imperfetta, come la nostra memoria, ma i brandelli del passato che ci restituisce sono nostri. Mio, tuo, suo. Come avviene per la fotografia, che non vive solo del genio di Helmut Newton o di Sebastiao Salgado, ma anche delle foto della domenica, scattate dal signor Qualunque che non cerca l'arte, ma la gioia semplice di avere un ricordo labile, ma tangibile, ieri sulla carta stampata, oggi nei pixel di un display. Terza considerazione. Salarelli cita McLuhan: «Nessuno può fare della fotografia da solo». Credo alluda al ruolo intrinsecamente «relazionale», comunicativo della fotografia. Bene, non riesco a vederci nulla di male: il bisogno di comunicare rappresentando la realtà è antico quanto l'uomo. Per informazioni, bisognerebbe chiedere ai nostri progenitori «graffitari» in Francia, in Spagna, persino - chi l'avrebbe detto - in Italia. E se sulle pareti delle caverne sono stati incisi mammuth e scene di caccia, Magritte e De Chirico e Milo Manara, per citare a caso, hanno dato forma e colore anche a sogni, paure e ossessioni. La stessa escalation c'è comparando il diario segreto delle eroine ottocentesche e il blog degli internauti di oggi, che realizzano senza complessi il sogno delle loro trisavole: q

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