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Giannini: cinema in coma reversibile

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L'attore a teatro recita poesie dei classici greci ma pensa al grande schermo

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Esso rientra in un progetto iniziato due anni fa da Renato Giordano, che si amplierà alle tragedie e commedie classiche, e che nello spettacolo odierno è strutturato in momenti di musica e di poesia. La musica è quella degli Agricantus, Novalia, Kleezroym ed altri, riuniti nella Piccola Banda Ikona, che contamineranno con canti sufi, rom, dervisci, iraniani, i pochi frammenti finora conosciuti di musica greca antica. Le liriche degli autori predetti, poi, tradotte da Renato Giordano, comprendono anche una poesia di Saffo - appena scoperta in Egitto, su un papiro che rivestiva una mummia - la quale appartiene alla vecchiaia della poetessa, che vi parla dei propri capelli bianchi. Tutte saranno lette da Giancarlo Giannini, per almeno un quarto d'ora entro l'ora e mezzo di spettacolo. Giancarlo Giannini, lei è uomo di teatro e di cinema: ma questo non è un teatro particolare? «È vero, infatti la lettura dei poeti lirici in passato si è sempre praticata poco nei teatri. Invece è un genere che mi piace molto. La lirica rappresenta il cuore della poesia, è la vera poesia, specie quella d'amore di Saffo. Se è attuale? Il sentimento è quello, allora come ora, semplicemente è espresso in greco. Ma io non parlo greco e recito in traduzione». Comunque lei leggerebbe il greco antico benissimo: è nota l'assenza di inflessione della sua dizione. «D'accordo: ma io apprezzo anche le traduzioni, perché il senso non cambia e il suono italiano ha la sua bella musicalità. Shakespeare lo abbiamo sempre recitato in italiano». Sembra di dedurre che lei ami di più il teatro che il cinema: è così? «No. Sono realtà artistiche molto diverse, quasi incomparabili. Io ho fatto teatro per molto tempo, in seguito sono passato al cinema: ma l'attore deve essere in condizione di fare tutto». Pensa di condividere l'asserzione di Pasquale Squitieri - pubblicata recentemente da questo giornale - che parla di morte del nostro cinema e si domanda anzi «perché non si sia staccata la spina un ventennio fa»? «È vero che le condizioni del nostro cinema negli ultimi venti anni non sono state affatto buone: ma ciò vale per tutto il cinema mondiale, ad eccezione di quello americano. Il sistema americano invade il mondo e sa benissimo come distruggere tutto quello che nel mondo c'è, restando in piedi esso solo. Noi abbiamo toccato il fondo, ma alcuni tentativi di risalita li facciamo, vi sono giovani registi bravi, cinque o sei: il fatto è che sono pochi per un paese, l'Italia, che anche nella cinematografia è stato straordinario, che ha insegnato tutto a tutti. Ma il problema ha molte cause». Quali? «Il tipo di politica impostato con gli Usa più di trent'anni fa, l'avvento della Tv, il cambiamento in senso tecnologico della società. Trent'anni fa avevamo tempi più dilatati, io e la Wertmüller, Visconti, la Magnani, Mastroianni, Gassman, passavamo la notte su una sceneggiatura: in America si arriva alle 15 e alle 17 si torna all'aereo perché tutto è fatto». Questa sua America ha qualcosa di mostruoso, che quasi riscatta la nostra inferiorità tecnologica... «Nei tempi dilatati, si andava al cinema fumando e le immagini apparivano talora attraverso quella nuvoletta di fumo. I tempi e la società sono mutati, punto e basta, non erano necessariamente migliori. Oggi i bambini hanno cose meravigliose nel computer, partite di calcio e altro, non desiderano il cinema: esso era morto già per Federico Fellini». Lei parla di morte del cinema come Hegel parlava di morte dell'arte. Ma la malinconia c'è: quella dei lirici greci, come Mimnermo. «Ma no! Nei greci non c'è il dolore per la vita che passa, c'è la vita corposa e sanguigna, come in Saffo da cui anche Dante e anche Leo

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