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di PAOLO CALCAGNO A 80 anni, il filosofo junghiano James Hillman è stato accolto alla Milanesiana come una rockstar.

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La Sgarbi si è perfino messa in fila, tra giovani e anziani entusiasti, per il rituale dell'autografo da parte dell'autore de «Il codice dell'anima» (19 edizioni pubblicate da Adelphi per oltre 400mila copie vendute), indicato da un sondaggio «fra le prime 100 persone al mondo, in grado di cambiare la vita del suo pubblico». Alla Milanesiana, il tema affrontato da Hillman, sia pure con gli immancabili riferimenti alla mitologia e al «fare anima», è stato «Un terribile amore per la guerra» (Adelphi, 287 pagine, 17 euro), dal titolo della sua nuova opera. Per introdurre il tema, il curatore degli incontri con il pubblico della Milanesiana, Armando Besio, ha centrato un'efficace citazione cinematografica, ricordando George C. Scott nella divisa del generale Patton che visita le devastazioni e i caduti di un campo di battaglia e che, raccogliendo l'ultimo respiro di un ufficiale, sussurra: «Come amo tutto questo: che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita». «E' vero, la guerra non offre solo brutalità - ha commentato Hillman - ha un suo aspetto sublime che attrae. Per renderlo innocuo occorrerebbe un intenso esercizio di estetica da parte della comunità, rivolto all'arte, alla pittura, alla musica, al lavoro dell'argilla. Se uno s'impegna per 12 ore al giorno in questa maniera può nutrirsi di un livello estetico equivalente a quello della guerra: l'amore per la bellezza e per il sublime disperde l'attrazione per la guerra. I giovani dovrebbero praticare di più l'estetica che l'economia». «La guerra in Iraq non è una guerra di popolo - ha concluso Hillman - Ma è pericoloso stabilire che la guera dei politici è malvagia, mentre quella del popolo è buona. La rivoluzione francese o la rivoluzione russa non sono giustificabili: è vero, hanno eliminato delle tirannie, ma hanno condotto ad altre tirannie. La guerra è odiosa, perché produce distruzione, indipendentemente dalle intenzioni di partenza. Anche quando è generata da una buona ragione, la guerra non produce che orrore».

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