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Servillo seziona senza pietà gli ossessionati dal denaro

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«IL LAVORO RENDE LIBERI» ALL'INDIA DI ROMA

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La scelta di una tematica anticonvenzionale che indaga gli orrori di una società imperniata sul valore esclusivo attribuito al denaro è affrontata con la semplicità necessaria a garantire allo spettatore una presa di coscienza individuale senza pretese intellettuali o compiacimenti provocatori. Lo schietto linguaggio parlato che l'autore affida ai suoi personaggi distilla un dialetto vicentino popolare per il primo lavoro, ambientato in una fabbrica di cuscinetti a sfera, e borghese per il secondo testo, sviluppato all'interno di una villa di una famiglia di orefici. La disperazione per un mestiere ripetitivo e umiliante induce tre operai a progettare una rapina in cui verosimilmente i sogni di riscatto si tramuteranno in tragica sconfitta in «Scandisk», interpretato con precise e differenziate caratterizzazioni da Salvatore Cantalupo, Beppe Casales, Matteo Cremon, Denis Fasolo, tutti in grado di dimostrare una sincera e credibile adesione al ruolo. Un vero godimento sono poi le tre protagoniste femminili di «Defrag», una madre e due figlie che si confessano in monologhi paralleli da tre stanze separate della medesima magione di campagna, turris eburnea di una posizione economica invidiabile che però non basta a garantire loro una stabilità affettiva. Anna Bonaiuto rivela una magnifica compostezza nello scandire in una naturale ed efficace cadenza veneta ricordi e preoccupazioni di una genitrice che ha sposato l'uomo giusto per il suo mestiere di orefice e si lamenta invece delle scelte bislacche delle figlie, cadute nella trappola di uomini creativi incapaci di garantire continuità al patrimonio. Michela Cescon è concentrata, vigorosa e sublime nell'assecondare le sfumature variegate di una giovane donna che constata il fallimento del suo rapporto coniugale con uno scrittore troppo arrovellato per dedicarsi a lei, come pure convince la sobrietà sorvegliata di Bruna Rossi nell'offrire il ritratto dell'altra sorella, devastata da un legame con un pittore contraddittorio e capriccioso come un bambino che insegue i suoi giochi. Alla felicità di una scrittura scarnificata e penetrante che ritrae con distacco e intelligenza i mali della nostra epoca e dei nostri contesti umani si aggiunge una lettura registica elegante, rigorosa e persuasiva come Servillo aveva già dimostrato di saper condurre sui classici, ma qui il risultato acquisisce significato e necessità proprio per l'attualità della drammaturgia.

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