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«La musica è enigma e per ogni pubblico c'è un concerto diverso»

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62n.2 e op.55 n.2 ed anche la Sonata n.3 op.58 di Chopin, indi di Skrjabin la Sonata n.4 op.30 ed infine la Sonata n.2 op.36 di Rachmaninov. Mitico pianista nato a Belgrado nel 1958, formatosi al Conservatorio di Mosca e vincitore di più concorsi internazionali, Pogorelich è stato lanciato paradossalmente dal premio che non vinse, perché la sua eliminazione al Concorso Chopin di Varsavia del 1980 provocò le infuriate dimissioni di Martha Argerich dalla giuria e un caso internazionale. Pogorelich affianca alla carriera pianistica anche l'attività di sostegno dei giovani musicisti con una Fondazione in Croazia, oltre alle faticose tournées per la raccolta di fondi per la Croce Rossa e non solo. Maestro, per la Deutsche Grammophon è uscito un DVD di concerti da lei tenuti in luoghi storici: cosa l'ha spinta a tenerli? «Il progetto ne prevede sei e per l'Italia voglio ricordare quello nel Palazzo di Racconigi, dove ho suonato nel vuoto completo, in un'atmosfera irreale. Amo questo clima onirico». Lei è molto sensibile alle atmosfere: lo è anche all'accoglienza del pubblico? «Il pubblico è sempre diverso nelle reazioni dinanzi a uno stesso programma, perché ne sono diverse le tradizioni e la cultura. Il concerto di S. Cecilia lo ripeterò nella prossima tournée in Estremo Oriente e per me sarà tutto differente: col medesimo programma, altro è suonare al S. Carlo di Napoli dove io so come è il pubblico, altro è trovarsi in un Auditorium americano dinanzi a giovani che sentono musica solo su cd, oppure nel teatro di Buenos Aires, dove addirittura dicono che aleggi costantemente un fantasma. Comunque, basta un pianoforte diverso a mutare tutto». Con che criterio ha riunito i compositori di questo concerto? «Tutti e tre erano famosi pianisti e i due ultimi si sono ispirati a Chopin: Rachmaninov ha scritto delle variazioni su un suo tema e Skrjabin delle mazurche». Lei si affermò come pianista molto personale, anche trasgressivo: oggi si ritiene tale? «Non rispondo dei giudizi degli altri e ritengo di muovermi su una tradizione solida e storica. Su alcuni documenti relativi alle scuole pianistiche, da poco riaffiorati dagli archivi del Conservatorio di S. Pietroburgo, risulto settimo dopo Beethoven e quinto dopo Liszt. Beethoven scriveva su un pianoforte moderno, pensando ad effetti sinfonici, ad un'orchestra e alla voce umana: è importante rifarsi alle basi per comprendere il pianismo moderno». Ma si ritiene diverso da allora? «Parlerei di evoluzione, che va rispettata: interpretare significa poi dare spirito alla musica. Anche Beethoven negli ultimi anni preparò i colorismi impressionisti di Debussy. Non si può suonare sempre allo stesso modo e col tempo cambia l'approccio critico alla musica: uno spartito suonato 20 anni fa, oggi per me è nuovamente un enigma».

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