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L'uomo qualunque schiacciato dalla giustizia

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Tra accertamenti e lettere anonime un calvario per il cittadino raccontato da Mellini

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Una cultura giustizialista che rende sempre credibile l'accusa e che alla fine ha poco a che vedere con la giustizia. Un fenomeno di cui si è parlato soprattutto quando ad essere coinvolti sono stati personaggi importanti della politica. Ma al rischio non sfugge nessuno. E la storia che Mauro Mellini racconta nel suo libro — «Tra corvi e pentiti», Koinè editore - è quella di un uomo normale, Franco Giangualano, un funzionario della Usl, non vedente, che ottiene la presidenza dell'azienda dei trasporti ed elettricità di Trani. La vicenda prende spunto nei mesi che precedono lo scoppio di mani pulite da alcune segnalazioni anonime. A nessuno viene il sospetto che nella sua carica di funzionario di un'azienda era riuscito a fare bene il proprio dovere risanandola e riducendo alcuni sprechi. Interventi che evidentemente potevano avere procurato non pochi malumori. Ma per l'uomo inizia il calvario, viene passata al setaccio la sua vita, anche i suoi esami universitari, arrivano i primi provvedimenti di sospensione con l'accusa di assenteismo. Poi arrivano i pentiti. Una vera e lunga persecuzione. Mellini, avvocato, deputato al Parlamento per quattro legislature, componente del Consiglio Superiore della Magistratura negli anni '90, un garantista di antica fede, raccontando questa storia, di un uomo certamente poco noto all'opinione pubblica, lontano dai riflettori, un caso minore di provincia, vuole lanciare un pesante atto d'accusa sul modo con cui viene amministrata la giustizia, sul pericolo sociale per gente qualsiasi. E nel libro si denuncia il ruolo che ancora conserva la lettera anonima, quello dei pentiti. A questo proposito vale la pena riportare un passo della prefazione di Giuseppe Gargani. «Il pentitismo - scrive Gargani - nasce con il terrorismo». Durante quegli anni «tanti di noi, confesso, ritenevano possibile estirpare e sconfiggere il fenomeno. Forse abbiamo avuto ragione. Ma non c'è dubbio che trasferire quel principio ad altri tipi di reati non ideologici sia stato un'ingenuità... Per il terrorismo la dissociazione dalla lotta armata costituiva pur sempre un fatto ideologico, si trattatava della dissociazione da una partecipazione non solo materiale ai misfatti. Si può invocare, forse giustamente, un pregiudizio etico, ma la dissociazione poteva essere considerata un pentimento anomalo. Per quanto riguarda i reati comuni questo pregiudizio è fuori luogo perché fa considerare il pentito un eroe che vale ed è utile per il potenziale di disgregazione della procedura giudiziaria e non per il riscontro delle cose che dichiara».

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