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Messinscena virtuosa ma solo per mostrare i fasti tecnologici

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..Non è che i giudizi di valore concernenti la storia della musica ed i suoi compositori li formulino le prime alla Scala. I teatri, prestigiosi che siano, non trasformano in oro tutto ciò che toccano. Per quanto competenti e virtuosi gli interpreti, un'opera d'arte è ciò che è la sua intima sostanza. Per settimane e mesi, con una concentrazione di fuoco in questi ultimi giorni, si è parlato e scritto di questa prima scaligera, di questa sconosciuta «Europa riconosciuta», di questo Antonio Salieri sottratto ad un ingiusto oblio. Ora la vaga sensazione nell'opinione pubblica è che questa "festa teatrale" del tardo Settecento sia un capolavoro da accostarsi a quelli universalmente noti, e che questo musicista, più conosciuto per il film di Forman su Mozart (ove era accusato di avere avvelenato il Salisburghese) che per il suo reale talento compositivo, sia ai vertici musicali del Settecento europeo. Un equivoco madornale da chiarire. Questa prima scaligera ha costituito un evento nazionale che la cultura musicale italiana non si era mai sognata di possedere dai tempi di Verdi. Complimenti al Teatro milanese, complimenti alla metropoli lombarda che ha serbato e coltivato una di quelle glorie di cui l'Italia è stracolma e a cui è assolutamente indifferente. Bisogna sottolineare che veri protagonisti di iersera non sono state le musiche di Salieri, né Riccardo Muti, né Ronconi e Pizzi, né i cantanti, bensì la Scala restaurata, le sue meraviglie tecnologiche, il suo riappropriarsi della mondanità e dei fasti cronachistici. Ne sia riprova il fatto che l'opera «Europa riconosciuta» è stata scelta per aver inaugurato il Teatro milanese il 13 agosto del 1778. E soprattutto si consideri che l'attuale messainscena è tutta in funzione di mostrare al pubblico le «maraviglie» avveniristiche del nuovo impianto tecnico del palcoscenico. Protagonista non è la cosa, ma la bravura nel realizzarla. Al pari Riccardo Muti si pone oggettivamente come l'intelligente cercatore di oro che rintraccia e lucida la "pepita" Salieri. Al pari i cantanti felici e fortunati della rappresentazione, grazie ai ghirigori virtuosistici ed ai sovracuti (fino al fa diesis) che la partitura impone di ricamare e smaltare, hanno dato saggio di una perizia tecnica straordinaria quasi fine a se stessa. Insomma, mai opera lirica e compositore erano stati finalizzati al prestigio ed al vanto della rappresentazione quanto l'«Europa riconosciuta» del buon Salieri ora alla tripudiante Scala. Un'indossatrice in funzione del vestito che indossa in passerella. Ma procediamo per ordine. Il modestissimo libretto di tal Mattia Verazi è un rompicapo irreferibile animato da personaggi mitologici senza vita che agiscono come fantocci, i cui amori e lotte per il potere non hanno nulla di credibile. La musica di Salieri, accademica e celebrativa, risente fortemente l'influsso di Gluck, ben altra tempra di artista. Decine di opere serie del '700 italiano sono di analogo livello e costituiscono la media. Di fronte al grigiore delle note, che talvolta si fa noia, Ronconi e Pizzi, più che mai narcisisti, hanno ideato una regia e una scenografia fuori dal tempo e dallo spazio, con un palcoscenico enorme messo a nudo e circondato da luci, fumi, piani semoventi e specchi che consentono al pubblico di osservare ciò che accade tra le maestranze. Solo alcuni oggetti madornali solcano la scena, come una nave vera o una torma di cavalieri rossi su cavalli (di cartone) grigi. Il coro sale dalle profondità del suolo e resta immobile come un popolo di mummie. La direzione di Muti è ammirevole nella sua accuratezza certosina ma neppura essa è in grado di cavare il sangue della poesia dalle rape saleriane. Elogi comunque all'orchestra e al coro scaligero che sotto quella bacchetta compiono miracoli di illusionismo. Non da meno la compagnia del canto di cui ci piace citare Daniela Barcellona, Giuseppe Sabbatini, il migliore, Diana Damrau, Desirée Rancatore e Genia Kuhmeier. Ma ad eccellere è stato il danzato

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