
Il metodo del dubbio di Sterpa giornalista prestato alla politica

Ed è questo: «Sterpa è un giornalista prestato alla politica. Ed è uno dei politici la cui frequentazione mi rincuora anziché deprimermi. È sensato, leale e non ha mia perso il contatto con la realtà profonda del Paese». Gli articoli che Sterpa offre al lettore sono apparsi tra il 2002 e il 2003, e sono ora ripresentati un po' alla rinfusa, senza seguire l'ordine cronologico, ma attenendosi a un ordine più intimo, quello dell'autore, e a quello più coerente che è dato dal loro significato storico. Egli dice subito che ha scritto ricorrendo al «metodo del dubbio», cioè senza sentirsi legato a questo o a quell'orientamento politico. Neppure al proprio: il liberale. Per quanto nel titolo, come si è visto, egli si richiama proprio al suo credo politico cui è da sempre fedele, sebbene oggi la Casa delle Libertà gli appaia come il più sicuro rifugio. Insomma, lo dice lui stesso, questi brani sono scritti «controcorrente», e sono persino un po' «corsari». Del resto, se non fosse così che gusto ci sarebbe a fare il giornalista? In verità, ogni giornalista che si rispetti dovrebbe avere un suo specifico modo di essere. Ed è proprio questo fatto che in realtà rende così diversi i giornali gli uni degli altri: non soltanto per l'eventuale orientamento politico, ma soprattutto per il modo di essere dei giornalisti. E in particolare dei grandi giornalisti, come è appunto Sterpa, il quale si conferma tale in questa sua nuova raccolta di scritti. Sarò parziale, ma mi pare che emergano tre personaggi da queste pagine: il Cavaliere, il senatùr e Fini per il quale ultimo non mi sembra che ci sia un soprannome. Sterpa, nei confronti del Cavaliere, teme qualcosa: cioè che egli non sempre stia al timone, per cui scrive: «L'impressione è che spesso egli lo lasci ad altri». A chi? Forse a Tremonti e forse a Bossi. Comunque è giusto pensare che solo Berlusconi ci dà garanzie di successo anche per il futuro. Un interrogativo: la coalizione di governo è unita? A considerare gli atteggiamenti di Bossi e anche di Fini, si direbbe di no. Ognuno a suo modo più che alla coalizione, più che a sostenere Berlusconi, pensa al proprio futuro. Per uno di essi dietro l'angolo c'è l'ombra di un palazzo che ha il nome di un principe.
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