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di DIEGO GABUTTI ALTROVE, in qualche Italia parallela, il Sessantotto dev'essere bastato ...

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Nell'Italia che abitiamo, invece, l'Italia che Borges direbbe «disgraziatamente reale», la cicogna del Sessantotto lasciò sotto il cavolo una creatura nota come Settantasette, prediletta dai sociologi. Fu un anno straordinario per la nostra «meglio gioventù». Nelle strade delle principali città italiane, ogni sabato pomeriggio, puntuali come le repliche di «Happy Days», sfilavano le manifestazioni dell'Autonomia operaia, sovente armate di P38 e fucili a pompa. A rimorchio degli autonomi, con le facce dipinte e un'idea dell'happening un po' strapaesana, dunque italianissima, marciavano i cosiddetti «indiani metropolitani», detti anche «ala creativa del movimento». Gl'indiani metropolitani (a differenza degli autonomi, gasati dalle teorie trucibalde di Toni Negri) venivano celebrati dagli opinion makers dell'epoca per il loro senso dell'umorismo. Dicevano «potere dromedario» invece di «potere proletario» e tutti giù a ridere (anche Asor Rosa, persino Umberto Eco, il cielo li perdoni). Autonomi e «creativi», pur odiandosi cordialmente tra loro, superarono ogni divisione quando si trattò di cacciare, a sberleffi e sassate, Luciano Lama dall'università di Roma, dove il segretario della Cgil aveva osato presentarsi invocando ragione e riformismo. A rimorchio, infine, dei «creativi» e degli autonomi scalpitava una terza e ancor più esotica tribù: quella degl'intellettuali d'Oltralpe, gl'intellòs parigini, convinti che in Italia ci fosse una rivoluzione socialista in corso e che i revisionisti del Pci, uniti in santa alleanza con le più oscure forze della reazione, facessero di tutto, in primis carte false, per contrastarla. Allo scopo di denunciare e battere le strategie della controrivoluzione, professoroni francesi e arditi italiani del supercomunismo si diedero convegno a Bologna, roccaforte berlingueriana. Fu una kermesse indimenticabile, alla quale parteciparono sprizzando fiamme dal naso, dalla bocca e dalle orecchie femministe in rivolta, espropriatori proletari, brigatisti rossi, hippies fuori tempo massimo, antipsichiatri, giornalisti complessati, borghesi problematici. Intanto, mentre la festa s'ingrossava e le vittime del terrorismo nemmeno si contavano più, le pagine dei giornali d'ultrasinistra, da «Lotta continua» al «Quotidiano dei lavoratori», si concentrarono su due simpatici ma stravaganti temi di discussione: il personale è o non è politico, i terroristi sono o non sono compagni che sbagliano. Nacquero così sia l'intimismo extraparlamentare che le sbrodolate etiche sull'omicidio politico. Per le Brigate rosse, applaudite dagli autonomi, l'assassinio d'un nemico si trasformò nel più alto atto d'umanità possibile in una società divisa in classi. I «creativi», più in piccolo, stabilirono che il sesso e l'amore non erano, dopotutto, un tradimento del proletariato o un'offesa alla povertà. Poi venne l'affaire Moro e il Settantasette finì come doveva finire: in tragedia. Non ne resta niente. Tranne la «meglio gioventù» italiana che celebra incessantemente se stessa e gl'intellettuali d'Oltralpe. Gl'intellòs non cambiano mai. Ieri si schieravano a fianco della «rivoluzione italiana». Oggi assolvono il terrorista Cesare Battisti dal peso dei suoi peccati. Come ai poliziotti secondo Raymond Chandler, ancora non è stato inventato il modo di dir loro addio.

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