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Gentile il fascista scomodo

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Ma fu anche, questo isolamento, reso più amaro dalle polemiche e dalle accuse che vennero da ambienti filosofici e culturali avversi all'idealismo e da quei settori del Fascismo che lo accusavano di essere un liberale mascherato, o, perfino, di nutrire simpatie per il comunismo. Tuttavia — per quanto soprattutto a partire dall'ultimo scorcio degli anni Trenta e durante gli anni di guerra egli si fosse ormai allontanato dall'impegno politico e per quanto si sentisse estraneo a certe scelte del regime, a cominciare dalla politica razziale, che era in antitesi con l'antinaturalismo del suo pensiero e che egli cercò di contrastare offrendo sostegno e protezione a non pochi intellettuali ebrei — quando, nel momento in cui l'andamento del conflitto stava volgendo al peggio, Carlo Scorza, nuovo segretario del Pnf, lo invitò a parlare in Campidoglio egli non si tirò indietro. E così il 24 giugno 1943 pronunciò quel famoso «Discorso agli italiani» che lo riportò alla ribalta dell'attenzione politica e che provocò sconcerto e amarezza in amici e allievi e dure polemiche da parte di avversari. Da quel discorso, rivolto a fascisti e non fascisti, e tutto improntato sul tema della pacificazione, emergeva il fatto che per lui il problema vero non era più l'esito della guerra, quanto piuttosto la continuità storica della nazione italiana anche all'indomani di una prevedibile sconfitta. La sua collaborazione con la Repubblica Sociale Italiana, comunque motivata — certo un qualche peso in tale scelta lo ebbe una sgradevole polemica con il ministro Leonardo Severi — fu anche una conseguenza della sua filosofia, ovvero dello stretto nesso pensiero-azione, mitico dell'attualismo e, al tempo stesso, fu l'esito della sua concezione del rapporto tra fascismo e storia d'Italia. Sotto questo profilo, il brutale e barbarico assassinio di Gentile, compiuto materialmente a Firenze da militanti comunisti aderenti ai Gap, il 15 aprile 1944, finì per assumere il valore emblematico della fine del predominio dell'idealismo nella cultura politica italiana. E sulla matrice comunista dell'attentato non possono sussistere dubbi anche se allora circolò la voce di una responsabilità dei fascisti estremisti. E anche se oggi qualche studioso, a cominciare da Luciano Canfora, ha tirato fuori di nuovo, senza prove argomentate, quella antica storia. E anche se qualcun altro ha perfino tirato in ballo, ancora una volta senza documentazione probante, perfino i servizi segreti inglesi. La verità è molto più semplice e la responsabilità dei comunisti è indiscutibile. Se un punto oscuro rimane è quello del «livello» del partito - centrale o locale — dal quale partì l'ordine. Ma in proposito non si può dimenticare che, già la sera del 24 maggio, Togliatti, dai microfoni di Radio Milano Libertà, commentando il «Discorso agli italiani» pronunciò parole durissime che avevano il sapore di una vera e propria condanna e che pesavano come pietre. Disse che «La santa rivolta della nazione» avrebbe liberato l'Italia «dai suoi tiranni» e anche «da questo filosofo venduto ai nemici della patria». L'identificazione di Gentile con il fascismo, resa ancora più forte ed emotivamente percepibile a causa del suo impegno nella Repubblica Sociale e della sua tragica morte, oltre che l'identificazione, a tor

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