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Quel libro che scosse durante la guerra

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Più che la morte dell'aviatore mi travolse la morte dello scrittore. Egli aveva scritto un libro assai bello, «Il piccolo principe» — Le petit prince» — che era stato pubblicato poco meno di un anno prima a New York. Un libro che ancora mi commuove, anche se fu scritto soprattutto per i giovanissimi. Ed è un capolavoro noto a tutti, perfino a chi non legge. Fiabesca è la leggerezza delle pagine che tali rimangono fin dal giorno della loro apparizione. Saint-Exupéry: no il «Pizzicaluna». Questo è il nomignolo che gli avevano affibbiato i compagni di volo a causa del suo naso all'insù. Aveva cominciato a volare a ventisei anni, e già aveva avuto un primo incidente aereo nel 1935 nel deserto del Sahara. Come appresi sempre in quel tragico luglio, fu proprio quella dura esperienza, vissuta fra le sabbie sahariane, a ispirargli il suo capolavoro, diffuso ormai in oltre cinquanta milioni di copie nel mondo e arrivato alla sua centotrentaseimillesima traduzione, quella in lingua cambogiana. Nella dedica che egli fece a Leone Werth — un suo amico che aveva fame, freddo e un gran bisogno di essere consolato — scriveva: «Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano». Capii, fin da quel lontano 1944, come, con queste lapidarie parole, Saint-Exupéry avrebbe scosso generazioni e generazioni di lettori di ogni età. Egli condanna il mondo degli adulti dominato com'è dall'ipocrisia, e invita ognuno di noi a riscoprire quell'angolino del nostro animo dove sono custoditi i frammenti degli anni più belli della nostra vita, quelli della fanciullezza, quando si osserva il mondo con il cuore, non con la mente. Stamane riprenderò a leggere quel libro. Basta che io dica questo, altrimenti mi commuovo.

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