Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

di TIMISOARA PINTO SANREMO — Un Festival di Sanremo non eccelso dal punto di vista delle ...

default_image

  • a
  • a
  • a

Frastornato dal tanto chiacchierato dono dell'ubiquità che lo vede ospite d'onore a Sanremo e il giorno dopo a Mantova, nell'ambito delle manifestazioni dell'Altro Festival voluto da Nando Dalla Chiesa, Gino Paoli ha candidamente messo a tacere ogni ulteriore querelle sull'argomento. Il premio alla carriera è ormai un appuntamento classico, un logico omaggio a chi ha dato tanto in questo settore. Lo ha ricevuto anche Tony Renis nel 2000, mentre l'anno prima toccò ad Ornella Vanoni, anche se l'interprete milanese sembrò non gradire affatto l'omaggio, che andava a rimarcare troppo i lunghi anni di onorato servizio. Ma il "feeling" tra i due, senza nulla togliere a Morris Albert, continua alla grande: la coppia "senza fine" tornerà a settembre con un progetto discografico che la vedrà ancora unita in occasione del loro settantesimo anno di età. Scoccata la mezzanotte, Gino Paoli ha ricambiato con un accenno ad alcuni suoi successi, un medley dei brani «La gatta», «Una lunga storia d'amore» e «Un altro amore». L'ultimo scelto in base ad una priorità festivaliera. Si tratta, infatti, per chi fosse stato poco attento alla produzione più recente del cantautore, del brano terzo classificato al Festival del 2002. Cinque in tutta la storia della kermesse ligure le sue partecipazioni, ma i pezzi migliori e quelli ancorati da 45 anni di carriera alla sua scaletta, sono nati altrove. Il debutto avviene nel 1961 come Tony Renis (altra coincidenza): il cantautore arriva in finale piazzandosi al decimo posto con «Un uomo vivo», ma fanno più parlare i suoi occhiali neri, il magliore dello stesso colore e l'aria strafottente. Paoli torna a Sanremo tre anni dopo, nel 1964, ed è di nuovo in finale. Questa volta arriva sulla scia di milioni di dischi venduti, autore di classici quali «Che cosa c'è», «Senza fine», «Sapore di sale». Dopo il 1966, anno della più sfortunata delle sue partecipazioni, avvenuta con «La carta vincente», canzone non proprio profetica con cui non accede nemmeno alla finale, per rivedere Gino Paoli al Festival di Sanremo occorreranno ben 23 anni. Avviene nel 1989, grazie ad Adriano Aragozzini, impresario di Paoli all'inizio della carriera. Nel 1992 troviamo un Paoli solo autore co-firmare «Principessa scalza», un brano con cui il giovane Andrea Monteforte si presenta fra le Nuove Proposte. Fin qui le cifre, i dati, anche se riassumere la carriera di questo artista unicamente attraverso il canale sanremese potrebbe apparire scorretto, oltre che riduttivo. Ma a differenza di altri cantautori altrettanto blasonati che hanno capito da anni che quella dell'Ariston non è la loro platea ideale, Paoli, pur convinto di ciò, continua e mettersi in gioco, come dovrebbe fare un vero artista. Come ha fatto ieri sera, dando la sensazione di essere un personaggio appagato e al di sopra delle parti, anche se qualcuno la considererà una debolezza. È per questo che il premio alla carriera stavolta coglie nel segno, esaltando l'ultra quarantennale produzione di un cantante, ma prima ancora un compositore, che ha riempito il "canzoniere" italiano di suo brani, molti dei quali indimenticabili.

Dai blog