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Mel l'integralista: latino e aramaico senza doppiaggio

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Contro le leggi di mercato e contro il Concilio Vaticano II, contro le major e contro, l'accusa che più brucia, gli ebrei. «The Passion of Christ» - costo 27 milioni di euro, girato sullo sfondo dei Sassi di Matera e a Cinecittà, cast prevalentemente italiano con Bellucci, Gerini, Rubini, Rosalinda Celentano, Luca Lionello, Mattia Sbragia - ha debuttato ieri sera a Los Angeles, con una proiezione riservata alla stampa estera. Dopo 48 ore anteprima per gli altri giornalisti, il 25 febbraio, mercoledì delle Ceneri, l'uscita sugli schermi Usa. In 2500 copie e con l'etichetta «R», «restricted», che significa divieto ai teen-ager di entrare nel cinema se non accompagnati da un maggiorenne. In Italia lo vedremo a partire dalla Settimana Santa, in 150 schermi. Rigorosamente sottotitolato, perché gli attori parlano in latino e aramaico, due lingue morte. «Se un film non si capisce per le immagini, è un film fallito», dice l'integralista Gibson, che non avrebbe neanche voluto la sottotitolazione. Del resto, su altro Gibson ha dovuto cedere. E il taglio della scena che ha fatto gridare allo scandalo gli ebrei - allorché Caifa dice profetico al suo popolo «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» - è certo stato quello che gli è costato di più. E però tanti furori e censure sono l'ovvio corollario di un interesse che diventa morboso e che prelude al boom di spettatori. L'attesa per la pellicola fa infiammare Internet: 90 milioni i contatti sul web negli ultimi mesi, picco per un film che ancora deve sottoporsi alla prova del botteghino. Intanto la vigilia del debutto negli States fa pendere ancora la bilancia dalla parte del «politicamente corretto». «Newsweek», il settimanale stelle e strisce, annuncia che la Conferenza episcopale americana sta per diffondere una sorta di vademecum per affrontare l'indigesto «The Passion». Dovrebbe essere pubblicato appunto il 25 febbraio, in concomitanza con l'uscita della pellicola. Ricorda, il documento, che quanti «utilizzano le quattro narrazioni della Passione alla lettera prendendo un passaggio da un Vangelo e uno da un altro rischia di violare le integrità dei testi sacri». E Gibson l'ha fatto. I vescovi invitano poi alla «più grande cautela» quando nei testi sacri c'è un passo che «sembra mostrare gli ebrei in una luce sfavorevole» e suggeriscono di auto-censurare scene di folle ebraiche urlanti e la drammatizzazione del processo di Gesù davanti al Sinedrio. E Gibson, al quale «Newsweek» dedica la copertina, l'ha fatto. Del resto il regista-attore australiano, che non si mette dietro la macchina da presa da sette anni, dai tempi di«Braveheart», aderisce a una interpretazione estremamente letteraria delle Scritture, rigetta il Vaticano II, auspica la messa recitata in latino, aborre mangiare carne il venerdì. E il suo Salvatore è piaghe e sangue, la scena della flagellazione dura venti minuti. «I film su Gesù finora girati sembrano più delle fiabe che la descrizione di una morte orribile», ha attaccato Gibson. E si pensa al «Gesù» di Zeffirelli, al musical «Jesus Christ Superstar», a «L'ultima tentazione di Cristo» di Scorsese. Ma anche a «Vangelo secondo Matteo» di Pasolini. Dove è bandita l'agiografia.

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