Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

di MARIO BERNARDI GUARDI IL RITRATTO più bello di Kipling è quello disegnato, quasi settant'anni ...

default_image

  • a
  • a
  • a

È un profilo «suggestivo» e cioè che «suggerisce» uno stato d'animo, una visione del mondo e della vita, una invenzione narrativa che su questa si plasma. Tutti contrassegni del «Libro della Giungla», dove le bestie, «colte con la precisione con la quale un pittore di animali che fosse anche uno zoologo potrebbe rappresentarle», hanno anche qualcosa di religioso e rammentano «le decorazioni colossali che gli antichi Arii scolpivano sui sepolcri dei loro Re». L'«aura» di Kipling: il substrato mitico-simbolico che affiora e la scrittura come «carattere» che dà un'impronta alle cose, accompagna e disciplina lo slancio creativo, esprime idee forti e politicamente «scorrettissime». Infatti, Kipling, nato a Bombay da genitori inglesi, giornalista della «Civil and Military Gazete» di Lahore e poi del «Pioneer» di Allahabad, è un imperialista che crede nella missione dell'uomo bianco. Meglio ancora, dell'anglosassone che si carica degli onori e degli oneri della civilizzazione. Ma sono questi «fardelli» a qualificare un individuo e una comunità. Ti gravano addosso ma senti di doverteli assumere. E quel dovere diventa un diritto. Kipling è affascinato da un universo dove le energie e le tensioni si liberano,esprimendosi nella brutalità del conflitto. È dal franco riconoscimento che le persone lottano, per affermare un valore o anche una passione, che derivano la disciplina, la legge, l'ordine. È dallo scontro,anche duro,che nasce l'incontro. E non solo nel mondo degli uomini, ma anche in quello dove signoreggia la legge della giungla. Perché, è vero, lo scrittore Kipling sente l'avvolgente suggestione di quelle città indiane nelle quali tutte le forze più possenti della vita moderna - i commerci e i mercati, le macchine e le guerre - si intrecciano con i tratti millenari della tradizione, con i suoi riti e i suoi simboli, e si mescolano al fermentante sottosuolo dei vizi e delle virtù, degli odi e degli amori, degli affetti e degli istinti «di sempre». Ma la vita da rappresentare, in tutti i suoi impeti di creazione e distruzione, la trova anche nella giungla. Là dove un bambino spelacchiato, un «ranocchietto» che potrebbe servire da pasto a questa o a quell'altra belva, viene allevato da una famiglia di lupi. E lui stesso diventa lupo, sceglie di essere lupo, in conformità a un ordine che, certo, non è umano, ma che, nella sua ferinità, ha una qualche coerente ragion d'essere. Mowgli è il piccolo uomo che appartiene alla natura e che si trova a disagio quando, cacciato via dal branco dei lupi dove tornerà da vincitore, è costretto per qualche tempo a soggiornare nel villaggio natìo. E l'insofferenza del ragazzo nasce da una rivelazione che si affaccia al suo istinto,piuttosto che alla sua coscienza: gli uomini sono ipocriti, vili, paurosi, superstiziosi, traditori. Più detestabili delle scimmie, stupide, sudicie e pettegole, e forse degli sciacalli che si nutrono di carogne. Magari anche più odiosi della sanguinaria tigre Shere Khan che a Mowgli ha giurato vendetta perché il destino ha voluto che egli si sottraesse alla sua ferocia, che fosse allevato come cucciolo di lupo, che crescesse sotto la magistrale tutela di Baloo, l'orso bruno che insegna ai lupacchiotti le leggi della giungla, e della pantera nera Bagheera «dalla voce più soave del miele che cade dagli alberi, dal pelame più molle delle piume degli uccelli». Ma al Mowgli che combatte e annienta la tigre nemica-espressione di ciò che vi è di più bestiale nella bestia e di più inumano tra gli uomini-la doppia natura fornisce doppie armi: forza e intelligenza. Lo stile del lupo, in fondo, si conforma a quello dell'uomo originario: l'avventura, evento del carattere, educa all'affermazione-conoscenza. Quella di Kipling è etica del guerriero. Non la si tema: allo spirito di un giovane fa bene.

Dai blog