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Ma Atlantide è solo una chimera

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Nel 1441 le gesta di un giovane chierico che sembra anticipare ColomboDopo i ghiacci, gli orsi candidi e le sirene la «Stella Maris» arriva alla fine dell'Oceano dove i superstiti troveranno solo una certezza: la condanna a essere dimenticati

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Ciò deriva dal fatto che in questo testo, nella sua totalità, il senso e il significato della parola "verità" emergono in termini così totali da spingere il lettore verso la consapevolezza, si direbbe la scoperta, che il vero si tinge di finzione e viceversa, in un gioco delle parti che il titolo evidenzia molto nettamente: «Stella avvelenata», a indicazione e verifica in quale forte misura dominante i destini umani subiscono le sorti progressive di una condizione in cui mito e realtà, finzione e verità, si intrecciano fino a chiudersi in una inestricabile tela di ragno. Lo scatto iniziale, il segnale di partenza per una navigazione che in letteratura è il pretesto/chiave infallibile, è la scoperta di un memoriale arricchito da una pluralità di voci che produce la polifonia del romanzo, secondo una consuetudine dello scrittore che tuttavia qui rintraccia componenti nuove e diversificate. Ma veniamo ai fatti, molto suggestivi, c'è da dire, e per nulla gratuiti, non fosse altro che per gli agganci con la storia di oggi o dell'immediato ieri. Malgrado questo particolare, in realtà corre l'anno 1441 e un chierico ancora in erba di Casale Monferrato, Leonardo Sacco, decide di andare a Parigi, pur consapevole della lunghezza del cammino e delle asperità del viaggio. Per quanto possa muoversi con la consapevolezza che gli può accadere di tutto, parte e si imbatte nel porto di La Rochelle, rampa di lancio per un approdo molto più complesso e difficile, attraverso l'Oceano, la favolosa e irreale Atlantide, il continente sommerso che tanti poeti canteranno a cominciare dal nostro Foscolo. Ecco allora che il céliniano viaggio al termine della notte si traduce in una navigazione verso i confini stessi dei sogni e delle illusioni dell'uomo. Leonardo appartiene a quella generazione di studiosi in bilico fra Medio Evo alle spalle e Umanesimo agli albori — con tutto il suo fervore di ricerca — ed è troppo convinto che non sarà lui ma il mondo a cambiare, a chiusura del viaggio, all'approdo della navigazione conoscitiva. E migliore sorte non toccherà al resto dell'equipaggio, il capitano Cat, sempre sicuro di sè, fin troppo, e ancora il reverendo d'Ulbach con le sue fantasie che vorrebbero approdare ad un totale, utopico cambiamento del mondo, la Grosse Berthe, che offre al tessuto narrativo i suoi erotici svolazzi. Sono così sicuri che oltre quel muro marino c'è la terra promessa, l'Atlantide, che non esitano a individuarla come una sorta di Eden dove tutto è meravigliosamente possibile. È primavera piena e inoltrata quando la Stella Maris parte da La Rochelle, supera la terra dei ghiacci, sfiora il brano fascinoso degli orsi Candidi, ascolta il canto delle Sirene oltre a misteriose voci che provengono da un colorito e vivace Aldilà; infine dopo trentotto giorni di navigazione, i superstiti del lungo e difficile viaggio si ritrovano oltre l'Oceano stesso, in un paesaggio infinito e impervio, dove la conoscenza di continuo urta duramente contro l'impossibilità di capire, qualcosa che fa muro inesorabile, non persona, con segmenti e proiezioni nell'oggi facilmente intuibili. Sono le insidie della vita, che il più delle volte vestono gli abiti attraenti di un dono, e invece sono stelle avvelenate, votate all'immemoria: «La tua storia sarà dimenticata — vien detto a Leonardo perché sappia e capisca — e come te verranno dimenticati tutti quelli che in un passato più o meno lontano, hanno già attraversato l'Oceano per amore d'avventura, o cercando tesori che non c'erano, o perché le correnti li avevano portati

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