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L'intramontabile Santana infiamma la fiesta

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Trentacinque anni di discografia, resta uno dei pochi capaci di mettere d'accordo più generazioni

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Merito di questo straordinario e intramontabile chitarrista messicano, che ha saputo trasformare una sorta di inaugurazione ufficiale in una torrida fiesta. 56 anni, trentacinque di discografia, Santana è da sempre lo stilista del latin-rock, di più, è il musicista che, grazie alle sue origini (il padre era un musicista «mariachi»), ha coniugato il sound della Woodstock Nation (non a caso il suo debutto ufficiale avvenne proprio nel 1969 sul palcoscenico del celebre festival pop americano) con quello dei suoi maestri: Tito Puente, Mongo Santamaria, Machito. Non è rimasto certo deluso il folto pubblico accorso per l'evento: Santana è uno stilista e quando suona occorre togliersi il cappello. Il gruppo non era all'altezza del leader, a cominciare dai cantanti, troppo sgauiati e a volte lontani dal «mood» di Santana. Energico, defilato dal centro del palco, Carlos non ha avuto problemi a dichiararsi fiero americano ma lontanissimo da Bush e dal «bushismo» imperante. Peccato che il più global di tutti è proprio lui, con un genere ecumenico che deve per forza piacere a tutti e dunque, insieme al suo classico latin-rock, ecco affiorare ballad country-folk e un lungo preliminare di hip hop. Ma è il genere globalizzante appunto, che funziona oggi in America e che ha permesso a questo straordinario musicista di tornare alla grande. È l'arte della percussione a colpire la sua immaginazione di compositore, quel tocco coloristico in più, quella componente in grado di fargli assumere una fisionomia ben precisa. Giusto trent'anni fa, al Palasport di Roma, oggi Palalottomatica, Carlos Santana tenne un concerto memorabile, offrendo un set di percussioni da favola: Mike Shrieve, Josè Chepito Areas e Armando Peraza, con l'aggiunta di un cantante jazz all'epoca molto quotato, Leon Thomas. Era il 1973 e il chitarrista aveva da poco licenziato «Welcome», un album che fece discutere molto i fans. Sotto la guida spirituale del guru Sri Chinmoy, il chitarrista affermò che «denaro, potere, successo e fama erano solo poteri occulti e guai a rimanerne ossessionato. Cambiò il suo nome in Devadip («Luce di Dio, occhio di Dio»), sposò Urmilia, figlia del chitarrista Saunders King, anch'essa fervente seguace del guru Sri Chinmoy e fondatrice del Dipti Nivas Health Food Restaurant di San Francisco e per anni si vestì solo di bianco. La svolta mistica si spinse molto più in là e durò a lungo, contemplando anche una collaborazione con Alice Coltrane (nel frattempo diventata Turiya), vedova di uno dei suoi maestri, John Coltrane e inserendo una rigidità mistica all'interno del gruppo (il fido Shrieve divenne Maytreya). Sono passati trent'anni, molto è cambiato nella scena musicale, solo pochi fra i protagonisti di quell'epoca riescono ancora a riempire i grandi spazi. Carlos Santana è fra questi, grazie ad una serietà stilistica e ad una morale che ha poco da spartire con lo show-business, con il quale è comunque sceso a patti. Ancora oggi la sua chitarra è inconfondibile, con quel classico «bending» latino, quell'idea cioè di prolungare i suoni, merito della sua capacità strumentale ma soprattutto dell'intelligenza di saper aspettare. Santana, infatti, non ha mai rincorso mode e stili - anche se certe sue scelte personali, a cominciare da quella mistica, lo hanno spesso tramutato in leader di tendenza - sono stati i corsi e ricorsi del rock a riportare il pubblico nel suo ideale versante. Il suo successo testimonia la capacità di resistere, di imporre uno stile che comunque lo porta a scendere a compromessi con l'industria discografica.

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