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Isolato fino al '97 dal regime di Castro Pilastro della canzone latino-americana

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Aveva 95 anni. Il cantante e chitarrista aveva cancellato da un paio di giorni tutti gli impegni professionali programmati per il 2003, a causa delle precarie condizioni di salute. Segundo aveva tenuto il suo ultimo concerto nel febbraio scorso all'Auditorium Nazionale di Città del Messico. Il musicista è spirato nella sua abitazione. Nonostante le delicate condizioni di salute, Compay non aveva voluto essere ricoverato in ospedale ed era assistito da un medico e da una infermiera nella sua casa nel quartiere di Miramar dell'Avana. Scompare il più rappresentativo di quel drappello di musicisti cubani, tutti veterani, riscoperti grazie al celebre film di Wim Wenders «Buena Vista Social Club». L'idea fu di Ry Cooder, musicista e ricercatore, che nel 1997 si recò a Cuba per entrare in contatto con quei personaggi che avevano fatto la storia della canzone popolare cubana. Splendidi ottuagenari come il cantante Ibrahim Ferrer (si è esibito con successo a Roma due settimane fa), il pianista Ruben Gonzales, la cantante Omara Portuondo, tutti perfetti sconosciuti per le scene internazionali a causa dell'isolamento del regime castrista. Nato a Siboney, nell'Est di Cuba, Compay si trasferì giovanissimo a Santiago di Cuba, debuttando professionalmente come clarinettista. Già allora il suo stile era inconfondibile: un misto di classici e di tipico «tumbao cubano». Per i tempi una originale fusione. In seguito si unì a Miguel Matamoros, creando un gruppo storico, che incise anche l'inno nazionale cubano. Attivo anche in teatro e alla radio, Compay Segundo collaborò anche con Nica Saquito, l'autore del celebre brano «Maria Cristina». Molto attivo negli anni '50 — da ricordare il lungo sodalizio con il cantante Benny Moré — venne ingiustamente dimenticato a partire dalla fine del decennio. Mentre le orchestre più commerciali presero la strada del Nord-America, in particolare Miami, New York o il Messico, Compay Segundo rimase artisticamente intrappolato dalla rigidità del regime castrista. Casualmente riscoperto, questo prodigioso musicista non ha negli anni mutato il suo stile, malinconico e allegro al tempo stesso, naturale e sincero. Ai giornalisti che si interessavano a lui parlava soprattutto del futuro, ricordando sua nonna, morta all'età di 115 anni, contagiando gli interlocutori con il suo buonumore. «Quando gli chiedevo qual era il segreto della sua vitalità, mi diceva che ogni mattina mangiava una testa d'aglio fritta con il collo di pollo. E aveva due desideri, incontrare di nuovo il Papa e di incidere una nuova canzone dedicata alla Vergine, dopo la deliziosa 'Beautiful Maria of my soul' incisa con Antonio Banderas», ricorda il conduttore televisivo Cristiano Malgioglio. Sigaro Montecristo in una mano, rum cubano, ricordava con precisione i tempi in cui l'Avana era in mano ai gangsters americani, ben conscio che la grande ricchezza della sua isola è sempre stata il turismo. Ora, l'addio a una leggenda cubana, un fiero rappresentante del clima musicale centroamericano, un'insieme di musica classica e di strada, che imparò a suonare all'angolo dei marciapiedi ma che poi studiò anche gli spartiti classici. Fra le centinaia di canzoni, songs, bolero, rumbe e cha-cha-cha, ricordiamolo con «Chan Chan», il brano da lui composto nel 1987 e diventato la sua bandiera, tanto da aprire e chiudere il film che lo ha reso popolare in tutto il mondo.

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