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RESTAURI si cambia.

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A parlare è il soprintendente speciale del Polo fiorentino Antonio Paolucci, intervenuto ieri a Roma alla presentazione del Bollettino d'Arte dedicato al restauro della chiesa di San Giorgio in Velabro. Per il recupero del monumento andato in parte distrutto nell'attentato terroristico di dieci anni fa è stata infatti abbracciata una logica, in realtà demonizzata negli ultimi decenni, quella della ricostruzione «dov'era e com'era». «È un inversione di tendenza che ci fa piacere - ha detto Paolucci - in vent'anni abbiamo visto tanti orrori, perchè invece di ripristinare la parte con pezzi fatti a mano artigianalmente si usavano le resine». Il fine era di rendere immediatamente riconoscibile l'intervento stesso ed evitare la duplicazione, il falso, individuabile comunque alla prima occhiata in quanto solo il tempo è in grado di restituire omogeneità al tutto. Il caso di San Giorgio in Velabro ha aperto una breccia, che a poco a poco ha fatto crollare punti di vista apparentemente consolidati. Rimuovendo discussioni e polemiche per la necessità di cancellare le testimonianze di un evento traumatico, l'intervento è partito da accuratissimi rilievi sul campo, dall'attenta catalogazione dei reperti e dal recupero di tutti i materiali dopo il crollo «per mettere nelle mani dei progettisti tutti gli strumenti necessari per un restauro consapevole al massimo», ha detto il soprintendente regionale della Toscana Mario Lolli Ghetti, che ha scritto la prefazione del volume. La strada del ripristino richiede infatti un impegno molto serio, ha aggiunto nuovamente Paolucci, lo studio delle fonti, il recupero di manualità artigianali di prim'ordine. Come quelle che fiorivano a Roma fino ad un secolo fa, ha proseguito Paolo Marconi dell'università di Roma III, che rendevano possibili operazioni di ripristino di grande qualità. Se le cose negli ultimi anni sono andate in modo diverso, ha detto, è stato per il prevalere di «cosche accademiche» e dell'opinione pubblica guidata da illetterati. «Solo nella pittura non si ripristina», ha concluso il soprintendente regionale del Lazio Ruggero Martines, perchè lì si presuppone l'originalità dell'opera. Nell'architettura, invece, entra in gioco l'edilizia e ogni originalità si perde».

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