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La fine di Luigi XVI e della moglie, il potere ai giacobini: s'avviò in tal modo la scristianizzazione del Paese

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La loro carrozza procedeva non tanto rapidamente stracarica com'era di bagagli. E furono riacciuffati a Varennes con l'ausilio di molta gente del popolo stufa di loro. La regina batteva i piedi dalla rabbia. Gli scarruffati sovrani furono riportati di peso dai sanculottes nel loro fosco castello delle Tuileries, e Luigi fu costretto ad affacciarsi al balcone della reggia con sulla testa un berretto rosso frigio e a bere un bicchiere di vino, anch'esso rosso, alla salute della nuova Francia. A quella vista il giovane Bonaparte aveva esclamato in italiano all'indirizzo del pavido re: «Che coglione!». Con amarezza aveva aggiunto che sarebbero invece bastate poche cannonate per impedire a tutta quella canaille di impossessarsi delle Tuileries. Il berretto rosso in testa al sovrano lo aveva impressionato, per cui aveva commentato: «Il suo regno è finito. Non si rialzerà più da un gesto così degradante». È questo uno dei passaggi culminanti dell'esistenza della coppia reale francese. E particolarmente la figura di Maria Antonietta è rappresentata con grande partecipazione nel libro che le ha dedicato la storica inglese Antonia Fraser («Maria Antonietta», Mondadori, pp. 554, euro 22), moglie di Harold Pinter. In Francia la svolta politica e istituzionale si approfondiva ancor di più, e difatti il 10 agosto del 1792, appena un anno dopo, un'ondata di marsigliesi — migliaia di persone male in arnese e scarsamente armate, insieme ad altre migliaia di parigini — si era riversata nelle strade di Parigi e aveva occupato, assaltandolo, il palazzo delle Tuileries. Quei marsigliesi intonavano un canto che prendeva nome da loro, la Marseillaise. Andò a finire che i rivoluzionari, proprio in quel 10 di agosto, occuparono il Palazzo Reale facendo prigionieri il re e la regina, segnando così il crollo della monarchia. Il gallo aveva cantato. La Francia diventava repubblicana con un voto della Convenzione nazionale. I simboli del vecchio regime — lo scettro, la corona, il mantello reale — venivano distrutti e gettati nei secchi della spazzatura. I manifestanti, armati più di picche e di bastoni che di fucili, avevano fatto strage dei soldati svizzeri posti a guardia dell'edificio. I giacobini — così chiamati poiché avevano la sede in un ex convento parigino dei domenicani, in francese detti jacobins — esultavano. Cantavano la Marseillaise che era stata composta appena da qualche mese. Ne era autore un giovane capitano del genio, Rouget de Lisle, ed era già diventata assai popolare, tanto da essere sulla bocca di tutti i rivoluzionari come un inno guerresco, fra congiure e cospirazioni tese a rovesciare il sistema reazionario al potere. Così anche un terribile strumento di morte non nuovo, ma ulteriormente perfezionato, era apparso con prepotenza in quel '92 a opera di un medico filantropo e massone, Joseph Guillotin. Egli pensava che con un secco e rapido taglio della testa si potessero abbreviare le sofferenze del condannato a morte sebbene si imponesse di starsene steso bocconi in attesa che gli piombasse addosso la lama della mannaia. La sorte di Luigi XVI appariva segnata fin dal momento della cattura, e difatti non molto tempo dopo, il 21 gennaio del 1793, veniva ghigliottinato, tra le grida di esultanza dei giacobini di Robespierre, da carnefici in calzoni corti e con cappelli a tre punte ornati di coccarde tricolori. Uno di questi carnefici mostrava al popolo la testa del re che spaventosamente colava sangue. I francesi precipitavano in degenerazioni eretiche, si esaltavano nel celebrare le feste della Dea Ragione, dell'Essere Supremo, come se fossero scristianizzati da sempre. Quello stesso 21 gennaio fu dichiarato giorno di Festa nazionale, mentre la Festa della Ragione si celebrava sacrilegamente n

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