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Fantastica e Lélio per celebrare i 200 anni di Berlioz

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14 » (1830), dettata dalla delusione amorosa con l'attrice shakespeariana Harriet Smithson e il «monodramma» (misto di voce recitante e musica per solisti di canto e sinfonico-corale) «Lélio (ovvero Il ritorno alla vita, op. 14 bis» (1831) ispirato alla «sbandata» per Dénise Moke, prossima moglie di Pleyel costruttore di pianoforti. L'estroso Berlioz, forse il più bizzarro musicista romantico, volle uniti insieme i due lavori, e così furono eseguiti a Parigi nel dicembre 1832, presente la Smithson che si decise a fidanzarsi e lo sposò nel '33, ma in realtà sono due opere diverse sia formalmente sia sostanzialmente. Il musicista indicò scritto il modo d'esecuzione del «Lélio» e su questa base il regista Michal Znaniecki ha montato una realizzazione semiscenica (Michele Della Cioppa) che ha cercato di «rappresentare» fedelmente la sua musica. Del resto l'intera produzione di Berlioz è romanticamente rappresentativa di un mondo di idee fantastiche, che se anche non trovarono che poche reali attuazioni in teatro d'opera («Cellini», «Beatrice», «I Troiani») volano tutte sul piano dello spettacolo. Andiamo per ordine iniziando dall'esecuzione, l'altra sera, della «Fantastica» densa di significati nei noti cinque quadri, che il direttore John Nelson ha rivissuto con penetrazione emotiva e perizia tecnica facendo filare l'Orchestra dell'Opera negli intimi meandri della partitura di un ventiseienne assolutamente geniale per insolita manipolazione e umana espressività dei timbri orchestrali, sorprendente anticipatore di Wagner (Tristano) e della generazione dei massimi francesi e persino dei russi specie del Boris strumentato da Rimski-Korsakov. E passiamo alla totalmente nuova realizzazione del monodramma «Lélio», così chiamato forse dall'omonimo personaggio «amoroso» della commedia dell'arte. Giudico indovinata tutta la rappresentazione dietro al velario di tulle, che lascia intuire e sognare senza far vedere chiaramente l'azione, i bei colori, l'atmosfera ottocentesca. Ma non direi assolutamente la musica, qui, all'altezza della «Fantastica», ma cucita per sei altri episodi autovergati e autobiografici in cui gioca la forma delicata e romantica del Lied con pianoforte assieme alla più grandiosa, suggestiva corale-sinfonica con o senza pianoforte sul filo di una storia allucinata e farraginosa di amore-morte narrata in prima persona dal musicista Lélio (lo stesso Berlioz). È un modo per riesercitare il fascino dei fiati d'orchestra e richiamare quell'idée fixe dell'amata, che nonostante il riscatto della musica tormenta ancora l'artista. Ma quel pre-finale sulla Tempesta di Shakespeare è piuttosto banale. Ottimo il Lélio narratore di Eric Génovèse e i cantanti Stephen Mark-Brown e Carmelo Caruso con il maestro del coro Andrea Giorgi. Pubblico scarso (per incultura e forse anche per i prezzi troppo alti); ma copiosi e meritati gli applausi.

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