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Coronavirus, corsa alla Fase 2: plexiglass già introvabile

Dopo la corsa all'acquisto dei disinfettanti, mascherine e guanti scatta quella ai pannelli di plexiglass per separare scrivanie, tavoli e lettini

Damiana Verucci
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Dopo l'amuchina e le mascherine, la fase due vedrà di sicuro il plexiglass come bene più prezioso per le aziende in tempi di coronavirus. Dai ristoranti, ai parrucchieri, passando per gli uffici, in molti si stanno preparando ad alzare una  barriera di questo materiale tra le persone anche senza avere ancora avuto un'indicazione precisa sul suo uso o meno per poter riaprire. Così, quello che fino ad oggi era usato soprattutto per la fabbricazione di acquari, periscopi, lenti, mobili, sculture o nel mondo della moda, ora diventa il materiale per farci di tutto, perfino le barriere per i taxi che già si stanno predisponendo. Ad oggi è un vero e proprio boom di richieste. Sul tavolo di esercenti e associazioni di categoria arrivano decine di preventive da parte delle aziende che lo producono e che, naturalmente, hanno fiutato l'affare. Sono loro stesse, infatti, a farsi ogni tipo di pubblicità su internet o sui social network puntando sulla protezione dalle goccioline nella ormai nota fase due. Neanche a dirlo, i prezzi schizzano così come gli ordinativi, che in tutta Italia si stanno susseguendo da qualche settimana e che fanno recapitare le barriere “parafiato” agli indirizzi dei destinatari anche dopo 12 settimane, tale è la mole di richieste. “Un pannello di quelli con la base utili a coprire la superficie di un tavolo con due sedie può arrivare a costare anche 100 euro – dice Claudio Pica, presidente Fiepet-Confesercenti – un esercente potrebbe spendere fino a 800 euro per “plastificare” cassa, tavoli e quant'altro possa servire a isolare i clienti gli uni dagli altri”. Fa pensare che dopo tante campagne “palstic free” dell'ultimo anno, i locali e i negozi d'Italia potrebbero ritrovarsi all'improvviso sommersi di plexiglass che altro non è che polimetilmetacrilato (il cui abbreviativo è  pmma), che in Italia viene prodotto da cinque stabilimenti da Pomezia a Como, ma in numeri decisamente più bassi rispetto al resto d'Europa come Cina, Germania o Francia e Inghilterra. Da qui anche il problema dei costi e dei tempi di consegna. Eppure c'è chi, come Luciano Sbraga di Confcommercio Roma, sostiene che il suo uso non dovrà essere obbligatorio e quindi “se un imprenditore vorrà metterlo libero di farlo, ma questa indicazione non vogliamo che sia valida per tutti perché se conta il distanziamento sociale è il titolare dell'impresa che decide come farlo attuare e purché lo rispetti è tutto valido”. Quindi, qualcuno dirà, anche il plexiglass. A Roma, infatti, c'è chi già l'ha montato nel proprio locale e si dice pronto a riaprire in questo modo, con le barriere anti Covid che separano tavoli e isolano le casse e se poi non diventerà obbligatorio “pazienza, è una sicurezza in più e non in meno che potrà invogliare il cliente ad entrare”. Oppure no? C'è infatti chi storce il naso di fronte all'ipotesi di mangiare tra pannelli di plastica e immaginiamo che non saranno in pochi.

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