Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Gli animali, i veterinari e la pandemia Covid-19

Silvia Sfregola
  • a
  • a
  • a

In un momento di grande confusione e paura per tutti, il dottor Aldo Grasselli, medico veterinario, prova a fare un po' di chiarezza su futuro e obiettivi per un nuovo inizio. Il dottor Aldo Grasselli, medico veterinario specialista in Sanità animale e Igiene, Presidente Onorario della Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, Segretario Nazionale dei Veterinari di Medicina Pubblica, già Presidente del Comitato Nazionale per la Sicurezza Alimentare del Ministero della Salute e membro del Consiglio Superiore di Sanità ci parla di animali e Covid-19. Dott. Grasselli, questa pandemia è stata definita una zoonosi, può spiegare cosa significa e perché questa classificazione? «La pandemia Covid-19 è causata da un Coronavirus, il Sars- CoV-2, che era originariamente un virus di una particolare specie di mammiferi, i chirotteri, dai quali è passato all'Uomo, la specie più dinamica e sociale della Terra. L'Uomo è quindi diventato il vettore di questa epidemia localizzata sul nascere in Cina, che in poche settimane ha fatto il giro del mondo e ha messo in isolamento alcuni miliardi di persone. Una cosa mai vista prima, ma che era assolutamente prevedibile e prevista. Da qualche decennio abbiamo a che fare con sempre più frequenti eventi zoonotici, vale a dire il trasferimento di malattie dagli animali all'uomo. Negli ultimi decenni si è diffusa un'epidemia in media ogni due anni. Ed è il serbatoio dei virus che dobbiamo tenere d'occhio, salvo che non siamo disposti a modificare in modo radicale la nostra società per molto tempo o per sempre. Se dopo essersi diffuso ampiamente, il virus non perderà il suo potere patogeno come ci aspettiamo tutti, occorrerà conviverci con una vaccinazione di massa. Ma il problema non si risolve inseguendo i virus a ogni loro spillover, ogni volta che riescono nel salto di specie sull'Uomo». I medici veterinari hanno quindi un ruolo importante allora nella tutela della salute umana e della prevenzione delle pandemie? «Più di quanto normalmente si pensi. I medici veterinari hanno un'esperienza storica antica sulle epizoozie, cioè le epidemie che colpiscono gli animali, e sulle zoonosi che colpiscono sia gli animali sia gli uomini. I focolai iniziali diffondono in epidemie se il virus responsabile, che non ha suoi organi locomotori, trova un ospite che lo trasporta in giro. Gli animali selvatici, non solo gli uccelli che sono stati i vettori dell'influenza aviaria, si muovono per lunghe distanze. E se non si muovono gli animali spontaneamente, l'uomo li sposta per commercializzarli oppure fa viaggiare i loro prodotti che vanno dalla carne al latte, dalle uova alle piume, dal miele alla lana, e tanti sottoprodotti che entrano nella catena alimentare mangimistica o industriale». Quindi la Pandemia Covid-19 non è un evento straordinario? «Bill Gates, in un seminario pubblico del 2015, avvertiva che il futuro rischio dell'umanità non sarebbe risieduto nelle bombe atomiche ma nelle epidemie globali. Di Covid-19 era imprevedibile la potenzialità diffusiva e soprattutto la sua severità sulle persone anziane o più fragili. La mortalità in Italia ha superato ad aprile le 20mila vittime, quando la curva arriverà alla sua coda finale il bilancio sarà molto più pesante. Ma non è un evento straordinario in quanto tale. Dobbiamo aspettarci ondate di epidemie di cui non sappiamo prevedere la severità e la contagiosità. Quindi, se non vogliamo cambiare stili di vita e barricarci in ciclici distanziamenti sociali e subire shock umanitari ed economici, dobbiamo lavorare sulla biosicurezza degli allevamenti, sulla sorveglianza epidemiologica degli animali, sulla georeferenziazione delle patologie infettive contagiose, sull'organizzazione e la costante implementazione dei servizi medici e veterinari di prevenzione della sanità pubblica e della loro catena di comando». Come agiscono i medici veterinari contro le epidemie degli animali? «Evitare una malattia infettiva degli animali significa evitare blocchi e danni alle imprese zootecniche e conseguentemente alla filiera che va dalla produzione dei foraggi e dei mangimi sino alla produzione, lavorazione, trasporto, distribuzione, commercializzazione e somministrazione degli alimenti. Chi ricorda la BSE “Mucca Pazza” avrà in mente che le macellerie e i ristoranti andarono in crisi per mesi, con l'Aviaria andarono in crisi anche i camionisti. Quindi, una volta capito che prevenire conviene, si può trovare una sintesi di interessi. Bloccare i flussi in uscita dai focolai è l'unico modo per fermare il contagio e non avere perdite». Ma come funziona la medicina veterinaria italiana? «I medici veterinari del Servizio Sanitario Nazionale studiano e curano la salute collettiva degli animali allevati e di quelli selvatici e degli alimenti e prodotti che da essi derivano. Per farlo sono organizzati in tre servizi di elevata specializzazione: Sanità Animale, Igiene degli Allevamenti, Sicurezza degli Alimenti. L'Italia si avvale anche di una rete che copre il territorio nazionale di dieci Istituti Zooprofilattici Sperimentali che sono centri diagnostici e di ricerca di alto profilo scientifico. Istituti attrezzati anche per gestire patogeni estremamente pericolosi, e che in questo momento sono impegnati anche nella diagnostica Covid-19. In ciascun IZS si sono progressivamente costituiti pool di esperti che hanno dato vita a “Centri di Referenza” di valenza internazionale cui fanno riferimento tutti gli altri IZS. Questa rete consente la raccolta e la concentrazione delle informazioni, la loro elaborazione epidemiologica e la disseminazione nella rete che si alimenta delle osservazioni di campo fatte dai veterinari che lavorano ogni giorno a contatto con gli animali. Un modello simile, con la creazione di laboratori di sanità pubblica umana, e il recupero della salute ambientale nei compiti del SSN sarebbe auspicabile». Come vede il futuro della sanità e della prevenzione dopo questa pandemia? «Nessuno è al riparo, lo ha tragicamente provato il premier britannico Boris Johnson. Il modello sanitario deve essere meno ospedalocentrico. Abbiamo necessità di servizi territoriali che sappiano “prendere in carico” i cittadini senza che questi debbano intasare gli ospedali e, come in questo caso, rischiare di contagiarsi. Abbiamo anche bisogno di ripensare e riorganizzare le strutture della prevenzione, sia su base globale che nazionale. L'OMS ha sollevato troppe contestazioni, la Protezione Civile non ha competenza quindi capacità operativa in materie sanitarie, in un'emergenza non possiamo inventare e istituire “ad hoc” 300 task force che non hanno mai lavorato in rete e non si coordinano. Se quello che è successo non ci piace, dobbiamo fare in modo che non accada più. Se tutto ritornerà come prima saremo solo degli scriteriati. È evidente che occorrano riforme strutturali che buttino quello che costa e non funziona e mettano in azione quello che serve e alla fine risparmieremo una nuova pandemia e molti soldi. Le malattie dell'Uomo, nel 75% dei casi, sono causate da trasmissioni dagli animali che ci portano patogeni quali batteri, virus, parassiti o protozoi, e non dimentichiamo che buona parte di questi patogeni animali sono di origine selvatica». RIFORME Occorre urgentemente approntare delle riforme strutturali, che smantellino ciò che non funziona e mettano in azione tutto ciò che serve per salvare preziose vite umane. www.sivemp.it (annuncio sponsorizzato)

Dai blog